venerdì 4 marzo 2011

Pinocchio come noi, tra scuola e vita ©

Pinocchio, comincia davvero  a vivere le sue avventure con il capitolo IX intitolato:  
PINOCCHIO VENDE L’ABBECEDARIO PER ANDARE A VEDERE IL TEATRINO DEI BURATTINI.

Il dilemma di Pinocchio


Fino a questo punto la vita di Pinocchio si era svolta nell’ambito famigliare: era un pezzo di legno che Geppetto aveva scolpito, era  diventato burattino, aveva iniziato con le sue monellerie, se l’era presa col Grillo Parlante e aveva tentato una prima fuga da cui poi era ritornato; insomma era ancora legato alle sue origini con una sorta di originale cordone ombelicale.
Ora però ha promesso che andrà a scuola e, consapevole del sacrificio, davvero grande, fatto da Geppetto per lui, ci va di buona voglia e pieno di aspettative:

Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell’altro.

L’espressione usata da Collodi “fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria” merita una riflessione. Castelli in aria è un modo di dire oggi piuttosto frequente ma di origine antica, infatti risulta che l’abbia scritto per primo Bernardo Bellincioni, poeta fiorentino che visse anche alla corte di Lorenzo dei Medici.  Probabilmente questo modo di dire era già presente nella lingua parlata ed è ancora una locuzione talmente viva e densa di significato che non potremmo facilmente sostituirla con un’altra equivalente.
Pinocchio costruisce, dunque i suoi castelli sospesi in aria immaginando che la scuola gli aprirà tante opportunità ricche di rapidi risultati. Il suo è un volo pindarico proiettato nel futuro.

E discorrendo da sé solo diceva:
– Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere e domani l’altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno. Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d’argento e d’oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover’uomo se la merita davvero: perché, insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia... a questi freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!


Quante speranze, costruite su aeree fondamenta, il nostro Pinocchio ripone nel frutto del suo impegno scolastico!
In realtà non ha ancora messo piede a scuola, ma nel suo cuore abitano i sogni, e i sogni per un ragazzo non sono utopie, bensì proiezioni di se stesso,  sono aspettative realmente accarezzate e coltivate, sono lo “stato soave” che caratterizza la “stagione lieta” di cui parlano i poeti e che solo i grandissimi uomini non dimenticano una volta diventati adulti.
Questi sogni non sono privi di ansia e sbigottimento, ma non per questo sono meno amati.
Pinocchio infatti si “fomenta”, diremmo oggi con un linguaggio più semplice e spontaneo, ed emoziona. E’ sinceramente convinto: andare a scuola è una piccola rinuncia alla sua libertà. però gli permetterà di realizzare tanti sogni. Ma ecco l'imprevisto.

Mentre tutto commosso diceva così gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì zum, zum, zum, zum.
Si fermò e stette in ascolto.

Il suono è allettante e sconosciuto, solletica la sua curiosità e per al burattino si presenta il dilemma: che fare?
Frequentare la scuola sarebbe un atto virtuoso in previsione del domani, ma quella divertente musica è lì: presente e viva.
pì pì pì -zum zum zum
Quel suono è la vita che chiama.  Come resistere? 

Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto fabbricato sulla spiaggia del mare.
– Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no...
E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi.
– Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo, – disse finalmente quel monello facendo una spallucciata.
Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre a gambe.

Ecco perché, proprio da qui iniziano, per l’appunto, le sue avventure.

Naturalmente correndo.

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