lunedì 25 ottobre 2010

IL DIVERSO FA "PAURA"

Il mondo segue una sola via, quella dell'omologazione, quella del “siamo tutti uguali”.
Sempre meno si considera che esiste un mondo parallelo caratterizzato dalla linea spezzata della diversità che noi uguali rendiamo invisibile!
Essere diversi equivale ad essere brutti e fuori moda! Se si è diversi, si cerca in tutti i modi di seguire la massa, pur di stare tranquilli!
Perchè accade questo? Sarà forse perchè la massa risulta più unita ? Oppure è solo questione di maggioranza? .. Oppure è questione che i diversi fanno paura?
Non sarà che questo accade perchè crediamo che il diverso non meriti di essere ascoltato? Non sarà che questo accade perchè c'è spazio solo per chi può entrare a far parte della massa? E chi decide chi può entrare a far parte della massa e chi ne deve rimanere fuori?
Non sarà forse che sono degni di far parte della massa solo quelli che riconosciamo come uguali a noi stessi? Non sarà forse che il diverso “fa paura” perchè “non lo conosciamo” e non ci interessa conoscerlo? Non sarà perchè il diverso ci dà fastidio? Non sarà che la cultura dominante è caratterizzata da forti pregiudizi nei confronti dei non omologati?

(Le due sirenette)

7 commenti:

  1. I "normali" e i "diversi" sono diffidenti gli uni nei confronti degli altri. Se la normalità è una canzone, il diverso è una nota stonata.
    Inventare canzoni stonate sarebbe meglio... ma avrebbero successo le canzoni stonate? No! Forse sarebbe meglio puntare meno al successo e più allo stare bene insieme! Così una canzone stonata diventerebbe bella e tutti la canterebbero.
    (Chica e Tenera)

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  2. Le due Sirenette hanno ragione ed hanno individuato molte interessanti sfaccettature del tema proposto.
    Su questo post vorrei proporre una considerazione.
    Da cosa hanno origine l'omologazione e il suo contrario ossia la catalogazione a diversità?
    Chi l’ha deciso e come è accaduto che esistano questi due fattori che, per intenderci, determinano le classificazioni o reazioni che generano la paura, la linea di demarcazione, il pregiudizio?
    La realtà ci dice che le classificazioni descritte dalle Sirenette esistono, ed esistono da secoli.
    Attualmente però esse sono quasi oggetto di culto e si tende a far coincidere completamente il bello con l’omologato e viceversa. Dove può portarci questo schema?
    Se noi troviamo un quadrifoglio in un prato di trifoglio non pensiamo che sia sbagliato perché diverso. (Qualcuno ha altre idee di una diversità che non fa paura, ma piace e diverte? Io credo ce ne siano)
    La classificazione in categorie assolute: bello, sano, facile da capire (ecc) =GIUSTO; brutto, non sano, difficile da capire = SBAGLIATO non ci potrebbe portare forse verso una dimensione disumana e di pura apparenza?

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  3. Altro aspetto del problema: tutti coloro che a tutti i costi vogliono parere "diversi" e lo sono solo in superficie mentre rimangono "normali" appena sotto la crosta. Chi è "peggiore"? Come distinguere i falsi "diversi" dai veri "normali"?

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  4. @Mariaserena
    quando il successo è espressione dell’approvazione della maggioranza è facile cadere nella trappola dell’omologazione. Le comunità umane ed animali si reggono proprio sulla fiducia derivata dall’assunzione di comportamenti comuni e stereotipati.
    Pensiamo per un attimo alla fiaba del Brutto anatroccolo… Nel racconto è evidente lo sforzo di omologare l’anatroccolo al resto della nidiata, proprio allo scopo di renderlo simile agli altri. L’impossibilità di soddisfare le pulsioni ordinatrici e omologanti induce il gruppo a scacciare “il deviante” che, per la sua stranezza, rappresenta una vera e propria minaccia.
    La dimensione disumana del brutto = non sano = difficile da capire è legata a logiche di selezione naturale… a residui di tendenze ataviche…. a paure ancestrali…. all’estetica del consumo? Possiamo scegliere la risposta che più ci piace o trovarne mille altre. ..la sostanza della cosa non cambia: il diverso che non è in grado di omologarsi è destinato ad essere esiliato proprio da quella comunità a cui sente di appartenere e dalla quale è riconosciuto a parole ma allontanato coi fatti.

    @Gianni
    generalmente il “diverso” tenta disperatamente di omologarsi per sfuggire all’esilio a cui lo condannerebbe la comunità in cui vive. Il vero diverso “scompare” felice di essersi omologato e di essere banale, il falso diverso “compare” a dirci invece quanto sono noiose l’omologazione e la banalità. E mentre il vero diverso sta ai margini, il falso diverso sta al centro … e così via…
    I normali? Non esistono normali se non in relazione a categorie preconcette… Normalità sociale? Normalità relazionale? Normalità personale? Se essere normali significa essere nella media…se essere normali significa ottenere il consenso della maggioranza… gli intelligenti sono “falsi diversi” o “veri normali”?

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  5. @Fermima sì, sono d'accordo La dimensione disumana del brutto .... è legata a logiche di selezione, a paure ecc. Il brutto-diverso è costretto a redimersi, trasformarsi o sparire (mi viene in mente anche la favola abusata della Bella e la Bestia; ma anche il solito Franti, che è sempre dietro l'angolo anche se di solito non lo cataloghiamo come diverso ma come cattivo.
    Per questi motivi mi aveva molto colpito come due giovanissime come le Sirenette avessero colto così bene il problema sintetizzandolo anche nella frase conclusiva "Non sarà che la cultura dominante è caratterizzata da forti pregiudizi nei confronti dei non omologati?"
    Allora mi chiedo: se l'educazione e l'istruzione non coltivano una evoluzione virtuosa rispetto a questo tipo di "cultura dominante" a cosa servono i libri di testo, i programmi scolastici e tanto altro sapere ufficialmente proclamato?

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  6. @Gianni credo anche io che il falso diverso sia un promotore di se stesso che cerca cavalcare l’omologazione e la banalità creando una sua propria diversità elitaria.
    Provo a proporre anche un altro angolo di osservazione: l’esclusione che il normale opera nei confronti del diverso è da un lato ancestrale e dall’altro attualizzato dalla società in cui siamo immersi.
    Esiste tuttavia, per il “falso diverso” la possibilità di proporsi come “eletto, selezionato, super” nei confronti di qualsiasi “non eletto, non selezionato, normale”.
    Questa situazione l’abbiamo vista accadere nel secolo scorso: il mito della razza eletta in realtà era una mistificazione, nessuno dei presunti appartenenti a questa presunta “razza” poteva vantare una superiorità né biologica né intellettuale o d’altro tipo nei confronti di altre presunte “razze” (uso ripetutamente l’aggettivo “presunto” perché penso, con Einstein, che esista solo una razza, quella umana).
    Però quella presunzione di (falsa) diversità attribuiva a se stessa una superiorità che ha aggregato odio fanatico ed è diventata strumento di morte.
    Anche in questo caso il ruolo degli insegnanti che fanno esprimere e discutere i loro studenti su temi fondamentali è straordinariamente importate, non trovi?

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  7. @Mariaserena
    Parto da lontano....
    Sembra che la legge sul prolungamento dell’obbligo scolastico e il riordino della scuola secondaria superiore più che a variabili teoretiche, politiche, sociali, tecnologiche, corrisponda a vere e proprie logiche di mercato e a veri e propri standard di efficacia e di efficienza. In questo senso infatti, vanno a mio avviso letti e interpretati alcuni documenti degli organismi internazionali in materia di istruzione.
    "Diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale". (marzo 2000, a Lisbona, il Consiglio europeo)
    "....l’investimento nel capitale umano contribuisca in modo significativo alla crescita della produttività. A livello sociale, è dimostrato che all’investimento nel capitale umano va ricondotta una proporzione significativa della crescita della produttività aggregata. Una stima per i paesi dell’OCSE indica che un anno addizionale di risultato scolastico medio aumenta la crecita economica di circa il 5% immediatamente e di un ulteriore 2,5% nel lungo periodo. L’OCSE ha anche riscontrato che al miglioramento del capitale umano ha fatto riscontro mezzo punto percentuale e più crescita annuale in diversi paesi dll’UE durante gli anni Novanta rispetto al periodo precedente (2002, "Investire efficientemente nell’istruzione e nella formazione: un imperativo per l’Europa").
    Dunque, l’istruzione e la formazione devono apportare benefici sociali ed economici e rendere l’Europa economicamente competitiva a livello internazionale. Andare a scuola è obbligatorio, anzi praticare il lifelong learning è necessario, anzi è una questione di capitale …. umano.
    E veniamo al punto...che c'entra il diverso con la produttività?
    Etica del lavoro o estetica del consumo? Non è che, per caso, la scuola deve praticare l'etica del lavoro per preparare all'estetica del consumo? E si sa, quando l'etica e l'estetica prendono strade diverse, il guaio è davvero grosso!

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