lunedì 28 febbraio 2011

Pinocchio – impara, a modo suo, la diversità, l’apparenza e l’amore

L'ABBECEDARIO AL TEMPO DEI TESTI SCOLASTICI NON GRATUITI
La narrazione contenuta nell’ottavo capitolo di Pinocchio è come una matrioska: c’è un involucro costituito da un episodio esterno dentro al quale se ne aprono uno dopo l’altro tanti altri tutti finiti e completi. Vediamone alcuni.
Il titolo del capitolo Geppetto rifà i piedi a Pinocchio, e vende la propria casacca per comprargli l’Abbecedario mette in primo piano il padre-falegname; ma poi il burattino scivolerà via dallo schema per diventare, come al solito, protagonista.

Geppetto si affanna per questo figliolo e tenta di trasmettergli dei sani principi. Gli ha appena insegnato, con l’episodio delle tre pere, che “nella vita i casi sono tanti” e cerca di fargli capire che per riavere i suoi piedi deve accettare qualche condizione.
Pinocchio promette e supplica, ma solo la frase che convince Geppetto è strategica.
Leggiamo il dialogo:
— E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappar di nuovo da casa tua?
— Vi prometto — disse il burattino singhiozzando — che da oggi in poi sarò buono...
— Tutti i ragazzi — replicò Geppetto — quando vogliono ottenere qualcosa, dicono cosí.
— Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò onore...
— Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa, ripetono la medesima storia.
— Ma io non sono come gli altri ragazzi! Io sono più buono di tutti, e dico sempre la verità. Vi prometto, babbo, che imparerò un’arte, e che sarò la consolazione e il bastone della vostra vecchiaia. —
Geppetto che, sebbene facesse il viso di tiranno, aveva gli occhi pieni di pianto e il cuore grosso dalla passione nel vedere il suo povero Pinocchio in quello stato compassionevole, non rispose altre parole: ma, presi in mano gli arnesi del mestiere e due pezzetti di legno stagionato, si pose a lavorare di grandissimo impegno.
Proprio così.
Nessun genitore può pensare che suo figlio sia come i figli degli altri e Pinocchio rivendica la sua unicità ma io non sono come gli altri ragazzi! e nel farlo tocca il cuore, insieme all’orgoglio paterno di Geppetto che cede e lo accontenta.

La prima matrioska si è aperta e compare la seconda. Pinocchio vuole compensare il padre andando a scuola ma ha bisogno di un vestito. E certo! Un pezzo di legno non va a scuola e un po’ di apparenza ci vuole. Geppetto gli allestisce un vestito con ciò che rimedia in casa:
Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli fece allora un vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berrettino di midolla di pane.
Pinocchio corse subito a specchiarsi in una catinella piena d’acqua e rimase cosí contento di sé, che disse pavoneggiandosi:
— Paio proprio un signore!
— Davvero, — replicò Geppetto — perché, tienlo a mente, non è il vestito bello che fa il signore, ma è piuttosto il vestito pulito.

Oggi, epoca di docce quotidiane e di lavabiancheria a palla, fa sorridere il richiamo al vestito pulito ma non fermiamoci alla superficie, il vestito pulito rappresenta comunque il decoro della persona, la sua presentabilità ed infatti riesce a rendere Pinocchio (che era diverso dagli altri perché di legno, senza mamma, burattino, nato già in età di scuola, condizionato da un naso che cresce a dismisura e così via) un ragazzino come tutti, anzi elegante, e lui infatti si pavoneggia.
Povero Pinocchio, viene da commentare, deve imparare ancora tanto…

Ma a questo punto si apre la terza matrioska: l’episodio del libro necessario per andare a scuola, ossia l’abbecedario. E qui la diversità si para dinnanzi in una veste nuova: è quella tra chi ha i quattrini e chi non ce l’ha.

Per andare alla scuola mi manca sempre qualcosa: 
anzi mi manca il piú e il meglio.  
— Cioè?
— Mi manca l’Abbecedario.
— Hai ragione: ma come si fa per averlo?
— È facilissimo: si va da un libraio e si compra.
— E i quattrini?
— Io non ce l’ho.  
 Nemmeno io — soggiunse il buon vecchio, facendosi tristo.

Geppetto allora esce di casa e va a vendere la vecchia giacchetta di fustagno per acquistare l’Abbecedario. Torna a casa, sotto la neve, in maniche di camicia.
E la casacca, babbo?
— L’ho venduta.
— Perché l’avete venduta?
— Perché mi faceva caldo. —
Pinocchio capí questa risposta a volo, e non potendo frenare l’impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per tutto il viso.
Quanto amore ha incontrato, così, Pinocchio?



giovedì 24 febbraio 2011

LA MIA VITA...


Mi consegna un biglietto accuratamente piegato. “Tieni, leggilo! E’ una sorpresa!”. Leggo. E' una sorpresa lungamente attesa.
“Hai letto? Hai letto proprio bene?”. “Sì, ho letto proprio bene”.
“Hai capito?”. “Sì, ho capito, stai tranquillo.”.
“Bene, sono contento”. “Bene, sono contenta anche io”.


Sento che la mia vita in questo momento è migliorata moltissimo perché ho capito la differenza tra le cose brutte e le cose belle che mi sono capitate… Ci sono cascato anche io… ora ho capito che mi devo impegnare di più e devo scegliere gli amici adatti a me... A casa cerco di fare sempre di più, anche se non sempre ci riesco… A volte sto ancora molto male ma per fortuna c’è il calcio che mi fa dimenticare tutte le cose brutte… E’ la cosa più bella che ho e a cui non posso rinunciare…Non so cosa farei se qualcuno, per punizione, mi impedisse di praticarlo...
Ci sono delle persone che credono al mio cambiamento e mi vogliono bene e altre che non ci credono… Comunque io vorrei solo che mi credessero e che avessero più fiducia in me…


Il calcio mi salverà

mercoledì 23 febbraio 2011

Per voi, che di mattina...

PROSPETTIVE
soffio(ne)




E se tu non ascolti
le parole dei cieli
possenti e immensi,
né di quei venti estesi
come braccia innocenti,
e se tu fissi l’acqua
della pioggia o del mare
e non trovi parole
per esprimere e dire
ciò che vuole il tuo cuore,
lascia aperta la mente
e spalancala al vento
vi porterà le foglie
cadute in quel momento,
i profumi e le voci
di un tuo amico vicino,
vi porterà il brusio
del fumo d’un camino
come un segreto
sussurrato all’orecchio
già riascoltato o amato
e l’avrai ritrovato.

Tu che guardi le nuvole
e i colori ne cerchi
non abbassare gli occhi
ma sposta prospettive
non le definitive,
ma quelle in movimento:
alte o basse, di lato o di profilo
non sfuggire a te stesso
e guardati, nel viso,
soffia piano allo specchio
comparirà un sorriso.



Mariaserena, 23 febbraio 2011

lunedì 21 febbraio 2011

HANSEL E GRETEL PESTIFERI


Dove si raccontano e si leggono le fiabe? A casa o a scuola? Chi ha fatto conoscere Biancaneve e Cenerentola ai nostri ragazzi? Un libro? Un film? Un nonno? Una madre? Un adulto paziente e giocherellone? L’unica cosa certa è che le fiabe, indipendentemente dal chi, dal dove e dal come, svolgono un’importante funzione sociale. Ma quanto sono vicine le fiabe alla realtà in cui viviamo? E’ ancora possibile utilizzare le fiabe per presentare il mondo ai bambini? Non si corre il rischio di attivare delle “etichette mentali”?
Con l’antifiaba si tenta di andare oltre. Non un punto di arrivo ma un punto di partenza per la rivisitazione di topoi, stereotipi e convenzioni, una storia classica in cui giocano ribaltamento ed evanescenza dei ruoli, azioni fuori dal coro e realtà senza magia.
Ma quanto è vicina l’antifiaba alla realtà in cui viviamo? E’ possibile utilizzare l’antifiaba per presentare il mondo ai bambini? Solo apparentemente il codice delle antifiabe è negativo. Hansel e Gretel sono i due pestiferi protagonisti di un’antifiaba pensata per confrontare ciò che si racconta con i propri valori e con le esperienze vissute.

In una casetta vicino alla foresta, vivevano un padre, una madre e due bambini che si chiamavano Hansel e Gretel.
La casetta era di legno e dentro c’erano pochi mobili e quattro letti antichi, un caminetto sempre acceso e delle lampade che emanavano una luce fioca. I cuscini non erano imbottiti e le tende erano rammendate in più punti.
La casetta era circondata da un aggregato di pini e abeti. Vicino al vialetto di ciottoli c’era un piccolo stagno dove nuotavano pesciolini rossi e galleggiavano foglie ingiallite.
Dalle finestre delle camere poste al secondo piano, si scorgeva l’immensa foresta in cui Alberto, padre di Hansel e Gretel, si recava per tagliare gli alberi necessari al suo lavoro di falegname.
I due bimbi erano così pestiferi e impertinenti che scapparono di casa. Hansel era molto coraggioso e quel giorno indossava una salopette di jeans, una T-shirt e delle Converse. La bambina era invece molto timida e indossava un vestito e un paio di sandali.
Dopo un paio di giorni i due pestiferi arrivarono nei pressi di una strana casetta di cioccolata. Incuriositi vi entrarono e qui li accolse a braccia aperte una strega con un grosso naso e tre soli denti in bocca.
I bambini cominciarono a mangiare grossi pezzi di muro e così la strega li minacciò. Allora Hansel e Gretel l’assalirono e la costrinsero a svolgere tutte le faccende domestiche. Dopo una settimana, in preda alla più cupa disperazione, la strega scappò e di lei non si seppe più nulla.
Senza pensarci due volte, i pestiferi si impossessarono del tesoro della strega, andarono in città ed aprirono “La Casetta di Cioccolata”, una pasticceria che diventò subito famosissima.
Un giorno passò da quelle parti un critico gastronomico che, dopo aver assaggiato i vari gusti di gelato, diede cinque stelle alla pasticceria.
Dopo essersi ingrassati ed arricchiti, i due bambini tornarono a casa felici, contenti e….soprattutto ricchi.

Ps: la strega lavora attualmente in un circo dove si esibisce come la donna più nasuta del mondo.

(Elithebest99)

giovedì 17 febbraio 2011

QUANDO IMPARO DAVVERO N.2


Terza media. Riflessioni sull’imparare a vivere.

Impari davvero quando hai la voglia di imparare.
Impari davvero quando hai la volontà di farlo.
Impari davvero quando ti piace la cosa che devi imparare.
Impari davvero quando ti senti soddisfatta per quello che fai.
Impari davvero quando ti senti importante per aver scoperto una cosa nuova.
Impari davvero quando ti impegni nelle cose che devi ricercare e quando sei tu, senza nessuna guida, a trovare ciò che non sai.
Impari solo quando fai delle esperienze che ti portano a crescere.
Impari solo quando capisci ciò che la vita ti offre.
Impari da un semplice sbaglio, impari dalle delusioni, dai tradimenti, impari dalle cose che ti feriscono e ti fanno crescere.
Impari davvero quando sei consapevole delle tue azioni.
Impari davvero quando capisci che le esperienze, sia brutte che belle, fanno parte della tua vita.
Impari davvero quando guardi in faccia i tuoi errori.
Nella scuola si impara solo ciò che si vuole, nella vita si impara tutto.
(biancaneve)

mercoledì 16 febbraio 2011

QUANDO IMPARO DAVVERO


Prima media. Riflessioni sull’imparare ad imparare.

In questo momento mi viene in mente una certa lezione. Se mi fanno la domanda “Hai ragionato con la tua testa?”, io rimango di stucco perché, se non ho capito, il terrore mi blocca. Sì, è complicato, difficile ma, forse, se non pensi ad altro, ci riesci. (Taty)

Lunedì abbiamo imparato “davvero”, abbiamo cioè ragionato insieme. Le cose così rimangono più impresse. Se c’è “la pappa pronta”, si finisce solo per ascoltare e per non imparare niente…” (Andy Mass 99)

Oggi per me la lezione è stata molto utile perché è è stato usato un metodo che non conoscevo…” (Tracymitica 2000)

Io imparo davvero quando non mi danno le risposte ma mi aiutano a ragionare. Nel passato, accadeva che chi ci poneva le domande si dava anche le risposte, senza chiedere il contributo del nostro ragionamento… (Francy 99)

“Ho capito davvero!”. Ecco, questo mi dico dopo certe lezioni. Perché? La risposta è molto semplice: bisogna saper ragionare per attribuire il giusto senso al verbo “imparare”. Le risposte non sono scritte solo sui libri ma si trovano nella nostra testa pensante. Per comporre il “grandissimo puzzle della conoscenza”, le parole dei libri non bastano, occorre andare alla ricerca del proprio pensiero… (Rosy Princess 99)

Io riesco a capire solo quando cerco il perché delle cose. Perché scoppia la guerra? Perché si usa l’avverbio?... Secondo me, un buon metodo di studio è quello che ci consente di capire come è possibile arrivare allo stesso dunque percorrendo strade diverse. Io non riesco a studiare se non mi pongo domande. Se leggo che Napoleone morì nel terzo secolo colpito da una freccia avvelenata, è necessario che io pensi al come, al chi….Se creo un filo logico tra le cose e il discorso fila, capisco che ho fatto un passo importante…. non sono rimasto prigioniero delle parole ma mi sono appropriato del loro significato segreto… (Marasciah)

Le lezioni di… , questa è la prima cosa che mi viene in mente se qualcuno mi chiede “quando senti che hai imparato davvero con la tua testa?”. Quando ancora i dinosauri andavano a scuola, accadevano delle cose molto strane. 1) C’era chi faceva le domande e dava anche le risposte; 2) C’era chi faceva delle domande in cui era contenuta anche la risposta; 3) C’era chi, dopo aver utilizzato le modalità 1) e 2), diceva IMPARATE! Sicuramente i piccoli dinosauri imparavano ma non sapevano spiegarsi come mai dopo un po’ di tempo dimenticavano tutto… (Elithebest99)

Io imparo se mi fanno degli esempi. Per me è l’unico modo…

Ci sono delle lezioni in cui nulla è dato per scontato…In queste lezioni l’insegnante ti guida ma non ti dà le risposte… perché, se così fosse, sarebbe l’insegnante ad aver pensato per noi…All’inizio era molto difficile ma ora faccio meno fatica… (Cuoricina)

Non sempre troviamo la soluzione giusta e così aspettiamo che ce la dia l’insegnante… che dice che non la conosce nemmeno lei…o che non se la ricorda…. ma lo dice ridendo…Quando fa così sappiamo che lei sa che noi ce la possiamo fare da soli… e così cerchiamo di “rubarle” la risposta facendole mille domande… Alla fine la risposta la troviamo insieme… (Megolina)

L’insegnamento, secondo me, consiste nel farci ragionare…perché se arriviamo alla risposta dopo un lungo ragionamento, questO ragionamento rimane impresso… Per poter ragionare è necessario che si facciano degli esempi e dei giochi….perché ciascuno di noi ha un modo diverso di imparare… (Fragolina)

E’ strano. Noi diciamo alle professoresse che abbiamo capito ma poi, davanti ai compiti in classe, rimaniamo lì fermi e imbambolati come statue… (Lulù99)

Ai tempi di Biancaneve, si riteneva che gli alunni non fossero in grado di arrivare a dare le risposte giuste…. La pappa era sempre pronta… Se ci avessero lasciato un po’ più di tempo per ragionare, avremmo dimostrato che anche noi sappiamo arrivare a dare le risposte con le nostre menti…(Gianlu2)

Secondo me, per concentrarsi bisogna liberare la mente e stare sereni… se mi dicono di che cosa si parlerà e a che cosa serve quello che ascolterò, seguirò più facilmente e imparerò ad arrivare alla soluzione… (gianlu99)


Noi impariamo davvero quando la cosa ci interessa… e se non ci interessa facciamo altro…poi ci perdiamo per strada… (Back_in_Jack)

Io voglio recuperare tutto…e imparare davvero… (Roby)

Io imparo solo quando sono fresco e sveglio…non imparo quando mi viene da pensare a qualche fatto brutto…Poi credo che sia uguale per tutti che certe volte non si segue perché si è stanchi… (Piccolo_biondino)

lunedì 14 febbraio 2011

PINOCCHIO IMPARA (ovvero la pedagogia di GEPPETTO) di Mariaserena Peterlin

Geppetto vende la casacca e compra il testo scolastico: l'Abbecedario, ma  Pinocchio non impara dai libri....
Dopo aver mandato al diavolo il Grillo Parlante ed averlo spiaccicato al muro, con un gestaccio di cui riparleremo, all’indisciplinato Pinocchio capitano una serie di piccole avventure che gli dovrebbero servire da ammaestramento.
Ha fame, cerca di farsi una frittata ma dall’uovo appena rotto scappa fuori un pulcino “tutto allegro e complimentoso”; allora esce per elemosinare del pane, ma disturba un vicino e si becca “una enorme catinellata d’acqua che lo innaffiò tutto dalla testa ai piedi”; infine va  ad asciugarsi, ma si mette troppo vicino al fuoco per cui, addormentatosi, si sveglierà coi piedi bruciati.
Difficile immaginare una punizione più frustrante per chi, come lui, è born to run
Geppetto torna a casa e Pinocchio gli fa un affannoso resoconto interrotto solo da lacrime e singhiozzi. Leggiamo dunque (o ri-leggiamo per chi conosce bene il libro) cosa accade subito dopo proponendoci come chiave di lettura una particolare attenzione alla saggezza amorevole e pedagogica di Geppetto.

Geppetto, che di tutto quel discorso arruffato aveva capito una sola cosa, cioè che il burattino sentiva morirsi dalla gran fame, tirò fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse:

le tre pere
— Queste tre pere erano la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia.
— Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.
— Sbucciarle? — replicò Geppetto meravigliato. — Non avrei mai creduto, ragazzo mio, che tu fossi cosí boccuccia e cosí schizzinoso di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini, bisogna avvezzarsi abboccati e a saper mangiar di tutto, perché non si sa mai quel che ci può capitare. I casi son tanti!... 
— Voi direte bene — soggiunse Pinocchio — ma io non mangerò mai una frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire. — 

E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e armatosi di santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola.
Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l’atto di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio, dicendogli:

— Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo.
— Ma io il torsolo non lo mangio davvero!... — gridò il burattino, rivoltandosi come una vipera.
— Chi lo sa! I casi son tanti!... — ripeté Geppetto, senza riscaldarsi.

Fatto sta che i tre torsoli, invece di esser gettati fuori dalla finestra, vennero posati sull’angolo della tavola in compagnia delle bucce.
Mangiate o, per dir meglio, divorate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e disse piagnucolando:

— Ho dell’altra fame!
 I tre torsoli e le tre bucce
— Ma io, ragazzo mio, non ho piú nulla da darti.
— Proprio nulla, nulla?
— Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera.
— Pazienza! — disse Pinocchio, — se non c’è altro, mangerò una buccia. —

E cominciò a masticare. Da principio storse un po’ la bocca: ma poi una dietro l’altra, spolverò in un soffio tutte le bucce: e dopo le bucce anche i torsoli, e quand’ebbe finito di mangiare ogni cosa, si batté tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando:

— Ora sí che sto bene!
— Vedi dunque — osservò Geppetto — che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi né troppo sofistici né troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!!... —

Sono in gioco tre pere, tre bucce, tre torsoli. Ma anche il dialogo, tolte le due battute conclusive che non fanno parte della fase dialettica (o meglio dire della contrapposizione tra i due personaggi attraverso la quale Pinocchio matura la sua decisione e si convince delle giuste ragioni di Geppetto) si svolge in tre parti che la trascrizione con il colore sottolinea.
Le triplici corrispondenze mantengono un equilibrio nella narrazione, e sottolineano come un convincimento non nasca da un ordine imposto, bensì da un percorso personale che matura e di cui ogni tappa importante in sé.
Nessuno di noi, infatti, impara o acquisisce una esperienza di crescita attraverso una scoperta folgorante, o un lungo (seppur giudizioso) predicozzo in stile Grillo Parlante.
Impariamo invece con l’esperienza vissuta, amorevolmente supportata e guidata da chi riconosciamo come maestro (ad esempio un genitore oppure un insegnante di cui riconosciamo l’autorevolezza).
C’è poco da fare di fronte all’evidenza: Geppetto cedendo a Pinocchio il suo modestissimo pasto  resta digiuno, ma sa quel che fa, ed è consapevole che questa volta il suo insegnamento non può fallire. Anche chi insegna paga il suo prezzo.
Collodi fa della figura di Geppetto quella di un adulto che è esempio della saggezza amorevole e pedagogica che sa insegnare ai ragazzi anche la libertà.
Da quel tipo di saggezza si apprende davvero, senza violenze né prevaricazioni, magari pagando anche un costo personale, ma illuminati da uno sguardo lungimirante che ci indica la strada. 
Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!!...

È infatti una frase bella, detta condividendo e non giudicando.

sabato 12 febbraio 2011

L'ATTITUDINE AD ORGANIZZARE


Il docente deve essere un efficace organizzatore, in modo da condurre all'azione i mezzi e le persone adeguate a conseguire gli obiettivi previsti e desiderati. Questa capacità organizzativa del lavoro degli altri richiede un concetto sufficientemente ampio e profondo di partecipazione. Deve essere chiaro che nell'ambito educativo la partecipazione è qualcosa di essenziale, perché senza di essa non è possibile concretizzare la relazione tra autonomia, lavoro ed obiettivi. Senza partecipazione ogni alunno non potrebbe ricevere opportunità di accettazione, d'iniziativa e di scelta.
Ogni attività educativa dovrebbe essere intesa come promozione di opportunità d'iniziativa e di decisione, perché in una educazione rivolta ad ogni persona, ognuno dovrebbe prendere delle decisioni sugli aspetti che riguardano la propria attività. Essere efficaci non significa monopolizzare la pianificazione, ma collaborare, cooperare, saper confidare nelle persone, con il fine di conseguire i risultati insieme.


Giuseppe Comitini

martedì 8 febbraio 2011

A proposito...

A un bambino bisogna insegnare a essere un rivoluzionario, nel senso di cercare sempre il bene maggiore da donare agli altri per migliorarne l'esistenza. Lo scopo della vita non può essere accumulare denaro, ma creare rapporti d'amore.
"Giovanni Bollea"

lunedì 7 febbraio 2011

CONFRONTARSI FA BENE


Riflettere a undici anni.

Collodi ha utilizzato la lezione delle favole ed ha attribuito al Gatto e alla Volpe i vizi umani. I due animali (ma si tratta davvero di animali ?) sono la personificazione della menzogna e della furbizia: ambedue si fingono portatori di problemi fisici, ambedue si prendono gioco di Pinocchio.

Il burattino non sa ancora distinguere fra veri amici e falsi amici perché non possiede la necessaria esperienza…Forse a non vedere bene è proprio lui, forse a zoppicare è proprio lui. Lui che corre in continuazione da un'avventura all'altra, senza mai riflettere, senza ascoltare i consigli degli animali e delle persone che provano ad aprirgli gli occhi.
Pinocchio, a causa della sua inesperienza, è vittima del Gatto e della Volpe che gli fanno credere che esiste un campo in cui nascono alberi di monete.
Pinocchio, però, è solo ingenuo ed inesperto, non poco intelligente. E allora, perché crede a quanto gli viene detto? Pinocchio vuole riconquistare la fiducia del suo babbo, ed è disposto a tutto, pur di realizzare il suo desiderio. Dunque, decide di non andare tanto per il sottile e di puntare dritto verso la meta.

Secondo noi, Pinocchio, se si fosse fermato a riflettere, avrebbe saputo valutare ed agire di conseguenza. Se avesse ascoltato i consigli del Merlo bianco, non avrebbe passato un brutto quarto d'ora. Pinocchio ha capito a sue spese che i denari non funzionano come i semi.

Questa storia ci insegna che sulla nostra strada possiamo incontrare delle persone che tentano di prendersi gioco della nostra ingenuità e della nostra inesperienza. Per questo, sarebbe utile fermarsi a parlare con quegli adulti che vogliono raccontarci le loro esperienze. Perché un consiglio si accetta meglio quando non è solo frutto di prediche ma anche di confronto.
RosyPrincess 99 e Megolina

sabato 5 febbraio 2011

L'ATTITUDINE ALLE RELAZIONI UMANE


Il Docente, quale «educatore centrato sul gruppo », è colui che intenzionalmente promuove innanzitutto la cooperazione con gli alunni e, a seguire, anche quella con le famiglie e con le Agenzie educative territoriali; è colui che motiva e cerca di risolvere i problemi; quello che cerca di integrare gli attori del processo educativo attraverso la delega di funzioni, la condivisione delle responsabilità, la trasparente comunicazione di obiettivi e risultati, la qualità delle relazioni umane che saranno tanto più costruttive quanto più saranno aderenti a principi di sincerità e rispetto verso gli altri.
Questo rispetto verso gli altri deve scaturire da una profonda convinzione interiore e si consegue nella misura in cui si accettano e si promuovono le attitudini ed i modi di essere e di fare delle persone che sono vicine. Ciò esige di liberarsi dalle proprie preoccupazioni e di prendersi cura dei bisogni e dei problemi degli altri.
L'attitudine di accettazione di se stessi e degli altri, rende possibile la partecipazione e la cooperazione dei docenti, degli alunni, delle famiglie. Concretamente, essere educatori significa anche accettare di correggere o modificare i propri punti di vista senza sentirsi sminuiti nella propria autorità o nel proprio prestigio. Proprio su questo punto troviamo la radice del personale perfezionamento, che si consegue nella misura in cui si stimola il perfezionamento delle persone con cui si lavora.
Giuseppe Comitini

martedì 1 febbraio 2011

ALBA VIOLA - videopoesia.wmv - di Mariaserena Peterlin


GENNAIO ADDIO

L’alba  è viola
nel freddo
di gennaio.

Il vento del Nord,
segnale
di passaggi ineguali,
muove
le nubi dense
nel contendere
al cielo la sua luce.

L’attesa
dell’aurora
come un presagio
scruti.

E lungamente
nel silenzio
del tuo tempo
un suono attendi.