domenica 30 gennaio 2011

SOCIAL NETWORK E DINTORNI


Per me Facebook era in un certo senso una meta da raggiungere. Sapevo che l’iscrizione e la creazione del profilo avrebbero sicuramente cambiato qualcosa, ma la comunicazione rapida e meno costosa mi interessava molto di più delle offerte delle aziende telefoniche.
Facebok offre un nuovo modo per esprimere se stessi. Dire tutto quello che si pensa attraverso una chat o un commento a volte non è proprio il massimo, ma nessuno può certo negare che così la comunicazione diventa più semplice. Nel mondo virtuale i ragazzi non si vergognano di essere quelli che sono, scrivono di getto ogni pensiero generato, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze…e della grammatica.
Ma Facebook non è solo “commenti e “chat” che dividono invece di unire.
La “pagina” è una meravigliosa opportunità creativa in cui puoi inserire link e note, esprimerti con brevi frasi significative, scrivere piccole poesie, raccontare problemi, stati d’animo ed ogni frammento di vita. E ci si stupisce sempre quando si scopre che gli altri, con i loro “mi piace”, apprezzano ciò che dici. Ci si sente strani, ci si rende conto di quanta gente condivide i tuoi problemi e le tue passioni… A queste condizioni, innamorarsi su Facebook è più facile di quanto si creda. Forse amare le immagini delle persone è più facile che amare le persone in carne ed ossa.
Mi piace stare in rete ma dentro di me sento che la rete chiede in cambio qualcosa. Chiede il nostro tempo, chiede di togliere tempo alla quotidianità e alla semplicità di un libro o di una chiacchierata con un’amica. Osservo, ma spero di sbagliarmi, che il mondo dei giovani, quello a cui io stessa appartengo, ha smesso di riflettere…dà tutto per scontato, ciò che dice “il capo bianco” è legge.
E’ incredibile come una moda sia diventata un bisogno che non possiamo fare a meno di soddisfare.
Rinunciare ad Internet e al social network, infatti, non è assolutamente possibile: pettegolezzi, stati personali, pagine, chat, sono diventati una parte di noi. E alla fine, anche chi fa le più pesanti critiche alla rete, non vede l’ora, soprattutto il pomeriggio, di immettere la sua e-mail e la sua password per accedere all’e-world.
Clarissa Frey

sabato 29 gennaio 2011

DOVE VAI SE L' ATTITUDINE NON CE L'HAI?


Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, il contributo del prof. Giuseppe Comitini, già docente di Educazione Fisica presso una scuola media di Palermo. Cofondatore della Scuola sportiva DEPA di Palermo, attualmente dirige il Centro Studi Sportivi DEPA.


Tra la situazione ideale che s'intende conseguire attraverso le mete o obiettivi del processo educativo e la realtà troviamo le attitudini, definite come convinzioni intellettuali profonde, come sintesi di valore nei confronti della realtà, che alimentano e sostengono tutto il processo decisionale a qualsiasi livello.
Nella professione docente possedere o meno le adeguate attitudini non è un optional, perché è proprio da esse che dipendono direttamente tutti i processi di miglioramento personale, istituzionale e di qualità educativa. Trascurare o non prevedere nella fase di formazione, selezione, aggiornamento dei docenti un potenziamento delle attitudini alla relazione umana, significa rendere inutile qualsiasi progetto di riforma o di rinnovamento. Negli educatori il possesso delle attitudini è decisivo poiché la sola applicazione delle tecniche didattiche non è sufficiente a garantire il conseguimento dei risultati desiderati. Soltanto un giusto mix di tecniche e qualità attitudinali permette di operare efficacemente.
Giuseppe Comitini

giovedì 27 gennaio 2011

Pinocchio & il Gatto, la Volpe e il Merlo Bianco

Pinocchio incontra il Gatto e la Volpe


Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi, che se ne andavano là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura.

(Apparentemente, dunque, due poveri infelici.)
Il Gatto e Volpe dicono a Pinocchio di aver visto Geppetto.

– Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.
– Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non
tremerà più!...

Pinocchio esibisce,  infatti, le monete d’oro ricevute da Mangiafoco e i due gli chiedono cosa ne farà.

– Prima di tutto, – rispose il burattino, – voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me.
– Per te?
– Davvero: perché voglio andare a scuola e mettermi a studiare a buono.
– Guarda me! – disse la Volpe. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba.
– Guarda me! – disse il Gatto. – Per la passione sciocca
di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.

Fermiamoci su questo dialogo.
Noi sappiamo che il Gatto e la Volpe (che, peraltro, Collodi scrive con la maiuscola come si scrivono i nomi propri e non quelli comuni…) vogliono rubare, ma Pinocchio non ha ancora abbastanza esperienza.
In compenso in  quel mentre un Merlo bianco (sempre in maiuscolo) interviene:

… un Merlo bianco, che se ne stava appollaiato sulla siepe della strada, fece il solito verso e disse:
– Pinocchio, non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!

Il Gatto sventa immediatamente la minaccia e, riaperti gli occhi, cattura il Merlo e se lo mangia.

– Povero Merlo! – disse Pinocchio al Gatto, – perché l’hai trattato così male?
– Ho fatto per dargli  una lezione.  Così  un’altra volta imparerà a non metter bocca nei discorsi degli altri.

Già, la “lezione”! I ragazzi, e non solo loro, ma tutti quelli che non sono in posizione da poter comandare, sono destinati a sentirsi dare lezione; forse per questo prima poter distinguere le lezioni buone dalle cattive fanno i loro errori di valutazione.
Pinocchio, nonostante il suo corpo di legno ha, come abbiamo visto, numerose qualità: buone  gambe per correre, un naso curioso che lo spinge a volere sapere e capire, una testa ancora sventata, ma che ragiona, ed anche e soprattutto un cuore d’oro.
Si impietosisce per la sorte del Merlo bianco, ma è in ansia per il suo babbo e per ora l’ansia di far di mostrare la sua gratitudine al padre prevale sulla ragione.
Il trappolone del Gatto, infatti, funziona e Pinocchio, per ora, accetta quell’aulica spiegazione:
Ho fatto per dargli  una lezione.
Mi chiedo quante volte la crudeltà interessata viene spacciata per una necessaria buona lezione.

Ma questo Gatto-bullo è solo un piccolo delinquente? Vedremo... vedremo..
Nel frattempo possiamo costatare che lui e la Volpe non sono, come s’era illuso il povero Merlo, solo dei “catttivi compagni” ma, e Collodi ce lo fa ben capire, dei pessimi maestri pronti a far sussiegose lezioni a proprio esclusivo vantaggio.
Pinocchio non sa ancora distinguere tra buoni e cattivi maestri, quindi tenta di resistere alla lusinga del Gatto e della Volpe che gli promettono di arricchire facilmente moltiplicando le sue monete d’oro ed afferma con sicurezza :


Pur troppo io sono stato un figliolo cattivo, e il Grillo-parlante aveva ragione quando diceva:
«I ragazzi disobbedienti non possono aver bene in questo mondo». E io l’ho provato a mie spese,  Perché mi  sono capitate dimolte disgrazie”.

Poi accetta, tuttavia, di seguirli perché in questo  momento non sta disobbedendo al padre (cosa che non vuol fare più) ma solo rimandando di un giorno il suo ritorno a casa per investire proficuamente i suoi zecchini d’oro.
Prima di mutare la sua ingenua natura e imparare a diffidare di chi promette facili speculazioni finanziare dovrà ancora molto apprendere e soprattutto sperimentare.

Rimane da comprendere perché Collodi abbia immaginato che quello giustiziato dal Gatto fosse un Merlo bianco; sappiamo tutti che in natura i merli sono quasi sempre neri e quelli bianchi sono un’eccezione. E allora? Una curiosità pura e semplice? Una rara anima candida? Una vittima predestinata? Un ingenuo che non sa opporre alla violenza astuta una strategia adeguata?
In questa fase delle avventure di Pinocchio il gioco è in mano ai pessimi e non ai santi e certamente il manto bianco del merlo appare un po’ enigmatico.

Non rinunciamo tuttavia a sorridere con il pezzo di Edoardo Bennato, del 1977 ma attualissimo... QUI anche il testo.

martedì 25 gennaio 2011

Pinocchio e la necessaria adulazione



XI
MANGIAFOCO STARNUTISCE E PERDONA A PINOCCHIO, IL QUALE POI DIFENDE DALLA MORTE IL SUO AMICO ARLECCHINO

La storia di questo capitolo è a lieto fine ma voglio richiamare l’attenzione su un dialogo che potremmo definire “lo smascheramento dell’adulazione”

Pinocchio,  alla  vista  di  quello  spettacolo  straziante,
andò a gettarsi ai piedi del burattinaio e piangendo dirottamente e bagnandogli di lacrime tutti i peli della lunghissima barba, cominciò a dire con voce supplichevole:
– Pietà, signor Mangiafoco!...
– Qui non ci son signori! – replicò duramente il burattinaio.
– Pietà, signor Cavaliere!...
– Qui non ci son cavalieri!
– Pietà, signor Commendatore!...
– Qui non ci son commendatori!
– Pietà, Eccellenza!...
A sentirsi chiamare Eccellenza il burattinaio fece subito il bocchino tondo, e diventato tutt’a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio:
– Ebbene, che cosa vuoi da me?
– Vi domando grazia per il povero Arlecchino!...

“ Al sentirsi chiamare Eccellenza”… già il temibile Mangiafoco è sensibile all’adulazione e concede la grazia non in virtù degli argomenti o della pietà, ma perché emozionato dal complimento di un Pinocchio disperato ma furbo.
Una sviolinata…. e l’affare è concluso.
Dove si dimostra che la ragione e il torto, la giustizia o la compassione non possono ottenere tutto, ma una mossa furba, spesso, sì.
Libro “pedagogico”, non c’è dubbio! Non diamo del lecchino a Pinocchio, però, la sua era una giusta causa; ha solo dovuto usare un po’ di utile diplomazia. E i ragazzi , con una testa che pensa, imparano presto a praticarla… 

GARGASOLE ALLA CONQUISTA DEL NUOVO MONDO


La fiaba: terreno comune su cui incontrarsi. Padre e figlia ancora insieme per scriverne una.

C’era una volta,
prima che Cristoforo Colombo scoprisse l’America, un famoso navigatore leccese di nome Gargasole che voleva convincere la regina di Spagna a dargli delle navi per andare alla scoperta di nuove terre.

Arrivato a Madrid, in attesa di incontrare la regina, Gargasole passava le sue giornate in una taverna malfamata dove lavorarava Acatemera, una bella cameriera di origine greca di cui si era innamorato. Gargasole, che era molto timido, non riusciva a dichiarare il suo amore alla ragazza che, fra l’altro, aveva molti corteggiatori fra cui il cattivo conte Rodriguez della Vega.
Gargasole era molto avvilito, e più era avvilito e più beveva, e più beveva e più si avviliva.
Lui avrebbe voluto dichiarare il suo amore ad Acatemera, che nel frattempo si era fidanzata col conte, ma un terribile problema glielo impediva: pur essendo un bel ragazzo, aveva un terribile alito puzzolente e, quando parlava, le persone intorno a lui svenivano o, se ci riuscivano, scappavano a gambe levate.

Un giorno, quando ormai la bella Acatemera aveva già fissato la data delle nozze col conte Rodriguez della Vega, Gargasole decise di farla finita. Mentre stava per buttarsi giù da un ponte con una grossa pietra al collo, sentì una voce che lo chiamava. Era il buon mago Mourigno che, ascoltato il problema del giovane Gargasole, agitando la sua bacchetta magica fece subito apparire dentifricio e mentine per l’alito.

Risolto il problema, Gargasole potè correre a dichiarare il suo amore ad Acatemera. Lei lasciò subito il conte e abbracciò l’aspirante navigatore dall’alito profumato. Si sposarono, ebbero tanti figli, Gargasole non fece più il navigatore e Cristoforo Colombo potè scoprire l’America.


ELI THE BEST99- figlia e MEGA TONI - padre

Riflessione di ELI THE BEST99
In questa fiaba Gargasole ha un problema che ha bisogno di una soluzione. Detto fatto, ecco che il mago Mourigno, da bravo donatore, fornisce i mezzi magici: dentifricio e mentine per l’alito.
Oggi anche noi viviamo in una fiaba: una bella bacchetta magica per ogni problema e per ogni bisogno. Però una piccola differenza c’è: dove sono finiti i maghi che donavano senza chiedere niente in cambio? Non ci sono più perché tutto ha un prezzo.

venerdì 21 gennaio 2011

Pinocchio e le orecchie - utility per apprendere? di Mariaserena Peterlin






Pinocchio, quando si avvide da lontano del carabiniere che barricava tutta la strada, s’ingegnò di passargli, per sorpresa, frammezzo alle gambe, e invece fece fiasco.

Il carabiniere, senza punto smoversi, lo acciuffò pulitamente per il naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri), e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come rimase quando, nel cercargli gli orecchi, non gli riuscì di poterli trovare: e sapete perché? Perché, nella furia di scolpirlo, si era dimenticato di farglieli.

Ragazzi miei (con questo appellativo voglio iniziare questo post perché di fronte all’autorità siamo tutti potenzialmente ragazzi e discoli come il nostro Pinocchio) ragazzi miei J, dunque, come non rimanere colpiti di fronte a queste poche righe di collodiana trasgressione?
Avevamo parlato di un Pinocchio che corre, anzi nato per correre; e potremmo riflettere sul dinamismo, direi frenetico, del nostro personaggio: è evidente che chi corre rompe il compassato equilibrio di un passo decoroso e cadenzato, di un’andatura dignitosa. Lo rompe perché, in questo caso, esce dallo schema e disobbedisce. Dunque trasgredisce e merita una punizione.
Ahimè.
La disobbedienza potrebbe avere anche delle giustificazioni, e nella storia troviamo molte disobbedienze anche eroiche.
Ma Pinocchio, per ora, non è altro che il figlio ingrato che molla suo padre e i suoi sani insegnamenti per seguire la sua irresistibile vocazione a cacciarsi nei guai esplorando il mondo, vicino e lontano che sia, ficcandoci il suo lunghissimo naso di legno.
E allora si merita la reprimenda (o dovremmo dire la repressione?) che arriva istantanea: Il carabiniere, senza punto smoversi, lo acciuffò pulitamente per il naso e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto, ossia all'autorità paterna.
Qui accade l’imprevisto perché nemmeno Geppetto è perfetto, ma degno padre di un figliolo fuori schema, ha commesso un errore. Ha dimenticato, cioè, di scolpire le orecchie al suo Pinocchio e non può acchiapparlo per quell'utile protuberanza.

Ragazzi miei J forse sapete quali creature si acchiappano (si acchiappavano in passato almeno) per le orecchie?
Ma certo che lo sapete. Per le orecchie si acchiappano i conigli. E... “coniglio!” è ormai un epiteto usato abbastanza frequentemente come un insulto.
Geppetto, però, non ha voluto un figlio coniglio. È chiaro no? La rima è talmente facile da esser banale e Geppetto è l’antibanalità fatta persona. Per quale motivo, altrimenti, si sarebbe fatto un figlio scolpendolo dal legno sfidando la sorte e il tempo che lo avevano condannato alla sterilità?
Geppetto non è un coniglio e dunque nemmeno suo figlio lo sarà.
È per questo motivo che non aveva pensato alle orecchie? È possibile.
Forse, dentro di sé, Geppetto aveva una consapevolezza non esprimibile: le orecchie dei ragazzi ne sentono tante: di buone e di cattive, di divertenti e di noiose, di generose e di violente. Le orecchie non si possono sempre tappare perché non si può né si deve escludersi e moltissime volte saper ascoltare è importante.
Non avendole, a Pinocchio sono risparmiate non solo le tiratine d’orecchie, ma  anche la sorte del coniglio.
Tuttavia pagherà, per questo, con una serie di disavventure e disgrazie che faranno soffrire lui e suo padre, e ne avrà in cambio esperienze che lo faranno persona.
Chissà se sotto sotto anche Geppetto ci aveva pensato?
Chissà se Collodi gli ha lasciato, con intenzione, questa opportunità?

mercoledì 19 gennaio 2011

VIDEOPOESIA - TRA SPINE CORRE IL CIELO di Mariaserena Peterlin

Una videopoesia da guardare, ascoltare e leggere.

Così l'Autrice si esprime a proposito della sua produzione: Ho ideato questo tipo di VIDEOPOESIA come una realizzazione espressiva composta di immagini, testo e musica.
Per ogni immagine ho messo un verso di una poesia scritta appositamente.
Il testo nasce dalle immagini e non viceversa.
Il video è stato realizzato con foto, scattate in sequenza e con inquadratura fissa, ogni 30 secondi tra le 7.30 e le 8 del mattino a Roma


Grazie, Mariaserena, per questo libro che va costruendosi a poco a poco...

venerdì 14 gennaio 2011

CHE STORIA SAREBBE STATA?


Secondo me, nel testo “Pinocchio: un pezzo di legno con la testa pensante e un cuore che…”, pubblicato in questo blog il 12 dicembre 2010, Mariaserena Peterlin ha voluto mettere in evidenza la grande ed unica personalità posseduta da Pinocchio, un " pezzo di legno animato” che ha una testa pensante con la quale riflettere e un cuore d'oro per emozionarsi ed amare.
Noi sappiamo con certezza che Pinocchio è un " mezzo ragazzino " che disubbidisce sempre a tutte
le persone di buon senso ma, nonostante ciò, egli rimane un eroe perché non accetta mai quello che gli viene imposto e fa sempre a modo suo, aiutato da una testa pensante e da un cuore d'oro che sa emozionarsi ed amare.
Tutto questo però lo ha scoperto da solo seguendo la propria strada e rinunciando a ogni modello di costume: magrezza, muscolosità ecc. Se ci pensiamo bene, infatti, il corpo di Pinocchio è l’esatto contrario del corpo di un burattino. Il suo naso si allunga, la bocca ride e fa linguacce, le mani rubano la parrucca di Geppetto e i piedi colpiscono il falegname sulla punta del naso. Pinocchio, pur avendo la forma di burattino, non ha bisogno di nessun burattinaio che lo faccia muovere attraverso l’uso dei fili. E’ autonomo perché, a differenza dei burattini, ha una testa per pensare e un cuore per sentire.

Mariaserena ha individuato in Pinocchio il personaggio che meglio rappresenta il bisogno di essere sempre se stessi. Il suo post mi ha aiutato a capire che le decisioni giuste sono solo quelle che si prendono senza farsi influenzare dagli altri. Dobbiamo cercare dunque di essere niente di meno che noi stessi, e se facciamo questo ci accorgeremo che ogni singolo individuo è diverso dagli altri e che, se questo è vero, non è possibile ragionare ed agire tutti allo stesso modo.
Pinocchio e Geppetto erano uguali perché avevano tutti e due una testa per pensare e un cuore per sentire ma erano anche diversi perché ognuno di loro pensava e sentiva in modo differente. Nonostante questo, però, alla fine si sono incontrati.
Se avessero pensato e sentito allo stesso modo, che storia sarebbe stata?

RosyPrincess 99

venerdì 7 gennaio 2011

LA SCUOLA NON E' LA VITA


Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, il contributo di uno studente universitario che ha colto lo spirito di questo blog. Parlando di scuola, è più facile decostruire che costruire. Qui si va oltre, si va verso un interessante modello di re-schooling che potrebbere rispondere efficacemente alle esigenze di un sapere sempre più fluido e digitale.

“We don’t need no education. We don’t need no thought control. No dark sarcasm in the classroom.
Teacher, leave those kids alone” è una frase della celebre canzone Another Brick in The Wall scritta nel 1979 dalla rock band britannica Pink Floyd, che ben riassume il pensiero di molti dei giovani di oggi sulla scuola e soprattutto sugli insegnanti. Originariamente temuti e allo stesso tempo rispettati dai loro alunni che li vedevano come un modello da imitare, i docenti hanno progressivamente perso questa connotazione positiva di guida che dovrebbe, nei casi in cui il docente sia davvero competente, portare ad una maturazione dello studente sia in ambito scolastico che personale.
Sembra che per la maggior parte degli insegnanti di oggi, gli affari scolastici rimangono fra le mura della classe nella quale giornalmente entrano e dalla quale giornalmente escono, al termine delle 5-6 ore di lezione.
Per non parlare del carico che molti alunni sono costretti a portarsi dietro. Spesso sono confinati sui libri per ore e ore a volte senza nemmeno raggiungere i risultati sperati. La maggior parte delle volte il lavoro da loro svolto con fatica, impegno e sacrificio non appaga, e ciò provoca la loro totale demotivazione. E ovviamente gli insegnanti non sono più capaci di coinvolgerli, facendoli così trovare in situazioni scolastiche drammatiche per loro e per le famiglie (insufficienze gravi,debiti,bocciature), che sono difficili da superare, soprattutto dal punto di vista psicologico. La scuola diventa così per tutti un luogo nel quale non si raccoglie nulla, se non ansia, stress, e preoccupazioni.
Il non coinvolgimento degli alunni è dovuto essenzialmente ad un eccesso di contenuti, imposti come una medicina amara da ingoiare ma necessaria, un rimedio non condiviso nei tempi e nelle modalità di somministrazione da chi subisce le cure del caso.. Molte materie studiate, sono fini a se stesse: nella vita futura di un ragazzo, queste non avranno nessun riscontro pratico, e i giovani questo lo percepiscono, disinteressandosi totalmente a questa o a quella disciplina o utilizzando un metodo di studio che i docenti definiscono “selettivo”. Le lezioni, inoltre, sono perlopiù frontali e portano, quindi, ad un basso livello di coinvolgimento e di attenzione nella classe. L’insegnante è lì, seduto alla cattedra, che ininterrottamente recita il suo monologo preparato con cura. Due mondi a parte divisi dalla cattedra.
Soluzioni? Proposte? Magari un trapianto di cervello sarebbe molto utile, ma il nostro obiettivo è quello di rimanere sempre con i piedi per terra, proponendo cose fattibili. Magari qualcosina va fatta in classe. A scuola si va per crescere e imparare, e certamente ascoltare qualche gufo canterino parlare per ore e ore e poi sgobbare come pazzi durante il pomeriggio, non fa bene né all’apprendimento né alla crescita. Perché spesso ci si dimentica che i ragazzi hanno anche una vita sociale e che la scuola NON DEVE rappresentare la vita o addirittura invaderla? Perché la gente deve associare il periodo della propria adolescenza alla scuola? Io vorrei che le persone invece ricordassero quel periodo come una serie di avvenimenti in cui la scuola è solo una delle tante esperienze vissute. Magari, pur sempre mantenendo il proprio ruolo di guida, il docente potrebbe entrare nella cerchia dei suoi alunni, interessarli, magari puntando maggiormente non sul proprio stile di apprendimento ma su quello degli alunni.
Questo per quanto riguarda il docente. E per quanto riguarda il rapporto fra scuola e vita? Non pensate che quest’ultima insegni più della scuola? Credete ancora quindi che la scuola sia davvero utile a crescere e a formarsi come persone? Se solo fosse diversa da com’è, potrebbe…
E chi parla non si è certo sottratto allo studio, anzi…
Non sarebbe il caso di decidere cosa serve davvero e cosa no? Quali sono i contenuti davvero importanti, quali le abilità, quali le competenze davvero utili? Perché ostinarsi a battere e ribattere sulle vecchie formule quando sappiamo benissimo che, nel caso del sapere, ciò che va bene oggi non è detto che vada bene anche domani? Chi accede all’università lo fa portandosi dietro un bagaglio assolutamente inutile.
Come cambiare questo stato di cose? Chi dovrebbe essere coinvolto nella battaglia per la qualità della scuola? Io credo che spetti alle comunità locali , ai genitori e agli alunni decidere in base ai bisogni di ciascuno.. Ogni comunità, infatti, ha bisogni diversi e la scuola invece fornisce una preparazione standard che, come si è visto, non sempre è vincente. Una parte dei saperi di base dovrebbe essere acquisita a scuola, il resto potrebbe essere erogato da qualunque altra agenzia educativa presente su territorio, a condizione che il titolo di studio rilasciato dagli Enti territoriali sia equipollente a quello rilasciato dalla scuola pubblica o privata. Questo non significherebbe svuotare la scuola dei suoi contenuti ma significherebbe darle un ruolo preciso all’interno di un contesto di formazione. Perché tutto questo? Perché la scuola non è tuttologa. Perché l’individuo possiede una capacità innata di apprendere ed è per questo in grado di sperimentare forme autonome di apprendimento. Per questo motivo, forse, puntare sull’homeschooling non sarebbe male.
(M.R.)

martedì 4 gennaio 2011

Storie e racconti di ragazzi - Palermo DEPA- Leva calcistica Anni 80



ATTIVITA' AL CAMPETTO ANNO 1983/84 Scuola Sportiva DEPA - Palermo (Italy) 

(riflessione, tra passato e presente, ispirata da una foto incontrata su fB)

Sedici bambini schierati in riga una ordinata ai lati di un maestro, otto a destra e otto a sinistra: due piccole squadre, ma sarebbe meglio dire due squadre, di quelle serie, proprio perché costituita da piccoli giocatori consapevoli dell’importanza di quello che stanno per fare: giocare una bella partita. 
La convinzione e la felicità è scritta nei loro visi. 
Insomma sedici bambini e un maestro in un’unica riga, un campetto in terra battuta e la palla al centro, posata sul disco bianco. Le gambe pronte a correre, infatti il maestro ha già il fischietto in bocca.
I bambini sono vestiti bene, ma senza esibizionismo; le gambette sottili abbronzate, i capelli neri o castani sono felicemente pettinati o spettinati, ma senza crestine né strane fogge da piccolo manichino.
Ragazzini schietti. Ragazzini di quelli dalla fantasia libera ed aperta, senza limiti, al sogno: ed il sogno in quel momento è il più bello che si possa sognare: una partita da giocare insieme, e un bravo maestro: una presenza che vigila su loro, un punto fermo in un orizzonte sconfinato.

Eppure intorno ci sono mura tirate su senza pretese, eppure il campo è bordato da erbacce.
Ma quei bambini hanno sette-otto anni, e la cornice del loro gioco non la vedono nemmeno.
I piedi fremono nelle scarpette, pronti a correre ed è questo che conta.

Per loro il gioco è proprio questo: correre per conquistare il pallore e competere sfidandosi in inseguimenti, brevi scontri, velocità, movimento. Tutti insieme.
E c’è un insegnante. È vestito semplicemente, come loro, ha solo i pantaloni più lunghi e il fischietto in bocca, ma i suoi occhi e il suo slancio vanno nella stessa direzione di quei ragazzini dalle gambette sottili e abbronzate e dai capelli liberi e senza gel. Le sua mani posate sulle spalle dei ragazzi più vicini a lui sembrano proteggerli e sospingerli insieme.
Un gesto che assomiglia a quello che si compie quando capita di raccogliere una rondine rimasta prigioniera o impigliata, e per poterla liberare la si tiene nella mano semiaperta pronti a lanciarla verso il cielo perché prenda il volo.

Questa foto, essenziale ma ricca di significato, mi ha colpito e commossa.
E’ un emblema che contiene tutto quello che serve per crescere ed educare i nostri figli: occorre un bravo insegnante, un Maestro con la maiuscola, che abbia a cuore i suoi ragazzini; senza tanti orpelli o misticismi sulla valutazione, senza tecnicismi e didattichese o la sperimentazione astratta su modelli inesistenti, senza il progettare percorsi formativi che poco hanno a che vedere con la realtà.
Un Maestro con poche regole chiare (il fischietto in bocca) e le sue mani saldamente posate sulle piccole spalle, ma pronte ad aprirsi per favorire il loro volo. 
Un Maestro che può anche sbagliare, ma si mette in gioco perché gioca con loro e detta poche regole, ma spiegate e condivise.
E la rotta per il volo che sta per iniziare, d’altronde, è già scritta in quegli occhi neri, in quei capelli bruni di ragazzini dalle sottili con gambette nervose ed abbronzate e pronti a correre correre correre.

Cos’altro può servire?

Nota a margine. Tutto ciò che ho scritto nasce esclusivamente dalla foto pubblicata su fB da Giuseppe Comitini. Su Web capitano queste cose, è un bel modo per sentirsi ancora esseri umani.