venerdì 7 gennaio 2011

LA SCUOLA NON E' LA VITA


Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, il contributo di uno studente universitario che ha colto lo spirito di questo blog. Parlando di scuola, è più facile decostruire che costruire. Qui si va oltre, si va verso un interessante modello di re-schooling che potrebbere rispondere efficacemente alle esigenze di un sapere sempre più fluido e digitale.

“We don’t need no education. We don’t need no thought control. No dark sarcasm in the classroom.
Teacher, leave those kids alone” è una frase della celebre canzone Another Brick in The Wall scritta nel 1979 dalla rock band britannica Pink Floyd, che ben riassume il pensiero di molti dei giovani di oggi sulla scuola e soprattutto sugli insegnanti. Originariamente temuti e allo stesso tempo rispettati dai loro alunni che li vedevano come un modello da imitare, i docenti hanno progressivamente perso questa connotazione positiva di guida che dovrebbe, nei casi in cui il docente sia davvero competente, portare ad una maturazione dello studente sia in ambito scolastico che personale.
Sembra che per la maggior parte degli insegnanti di oggi, gli affari scolastici rimangono fra le mura della classe nella quale giornalmente entrano e dalla quale giornalmente escono, al termine delle 5-6 ore di lezione.
Per non parlare del carico che molti alunni sono costretti a portarsi dietro. Spesso sono confinati sui libri per ore e ore a volte senza nemmeno raggiungere i risultati sperati. La maggior parte delle volte il lavoro da loro svolto con fatica, impegno e sacrificio non appaga, e ciò provoca la loro totale demotivazione. E ovviamente gli insegnanti non sono più capaci di coinvolgerli, facendoli così trovare in situazioni scolastiche drammatiche per loro e per le famiglie (insufficienze gravi,debiti,bocciature), che sono difficili da superare, soprattutto dal punto di vista psicologico. La scuola diventa così per tutti un luogo nel quale non si raccoglie nulla, se non ansia, stress, e preoccupazioni.
Il non coinvolgimento degli alunni è dovuto essenzialmente ad un eccesso di contenuti, imposti come una medicina amara da ingoiare ma necessaria, un rimedio non condiviso nei tempi e nelle modalità di somministrazione da chi subisce le cure del caso.. Molte materie studiate, sono fini a se stesse: nella vita futura di un ragazzo, queste non avranno nessun riscontro pratico, e i giovani questo lo percepiscono, disinteressandosi totalmente a questa o a quella disciplina o utilizzando un metodo di studio che i docenti definiscono “selettivo”. Le lezioni, inoltre, sono perlopiù frontali e portano, quindi, ad un basso livello di coinvolgimento e di attenzione nella classe. L’insegnante è lì, seduto alla cattedra, che ininterrottamente recita il suo monologo preparato con cura. Due mondi a parte divisi dalla cattedra.
Soluzioni? Proposte? Magari un trapianto di cervello sarebbe molto utile, ma il nostro obiettivo è quello di rimanere sempre con i piedi per terra, proponendo cose fattibili. Magari qualcosina va fatta in classe. A scuola si va per crescere e imparare, e certamente ascoltare qualche gufo canterino parlare per ore e ore e poi sgobbare come pazzi durante il pomeriggio, non fa bene né all’apprendimento né alla crescita. Perché spesso ci si dimentica che i ragazzi hanno anche una vita sociale e che la scuola NON DEVE rappresentare la vita o addirittura invaderla? Perché la gente deve associare il periodo della propria adolescenza alla scuola? Io vorrei che le persone invece ricordassero quel periodo come una serie di avvenimenti in cui la scuola è solo una delle tante esperienze vissute. Magari, pur sempre mantenendo il proprio ruolo di guida, il docente potrebbe entrare nella cerchia dei suoi alunni, interessarli, magari puntando maggiormente non sul proprio stile di apprendimento ma su quello degli alunni.
Questo per quanto riguarda il docente. E per quanto riguarda il rapporto fra scuola e vita? Non pensate che quest’ultima insegni più della scuola? Credete ancora quindi che la scuola sia davvero utile a crescere e a formarsi come persone? Se solo fosse diversa da com’è, potrebbe…
E chi parla non si è certo sottratto allo studio, anzi…
Non sarebbe il caso di decidere cosa serve davvero e cosa no? Quali sono i contenuti davvero importanti, quali le abilità, quali le competenze davvero utili? Perché ostinarsi a battere e ribattere sulle vecchie formule quando sappiamo benissimo che, nel caso del sapere, ciò che va bene oggi non è detto che vada bene anche domani? Chi accede all’università lo fa portandosi dietro un bagaglio assolutamente inutile.
Come cambiare questo stato di cose? Chi dovrebbe essere coinvolto nella battaglia per la qualità della scuola? Io credo che spetti alle comunità locali , ai genitori e agli alunni decidere in base ai bisogni di ciascuno.. Ogni comunità, infatti, ha bisogni diversi e la scuola invece fornisce una preparazione standard che, come si è visto, non sempre è vincente. Una parte dei saperi di base dovrebbe essere acquisita a scuola, il resto potrebbe essere erogato da qualunque altra agenzia educativa presente su territorio, a condizione che il titolo di studio rilasciato dagli Enti territoriali sia equipollente a quello rilasciato dalla scuola pubblica o privata. Questo non significherebbe svuotare la scuola dei suoi contenuti ma significherebbe darle un ruolo preciso all’interno di un contesto di formazione. Perché tutto questo? Perché la scuola non è tuttologa. Perché l’individuo possiede una capacità innata di apprendere ed è per questo in grado di sperimentare forme autonome di apprendimento. Per questo motivo, forse, puntare sull’homeschooling non sarebbe male.
(M.R.)

5 commenti:

  1. Verissimo, la scuola non è tuttologa, nè può essere più quella del periodo post-unitario. Tanto meno sono tuttologi gli insegnanti né possono avere, per le giovani generazioni quel ruolo di riferimento di magister e formatore che avevano in passato.
    D'altronde nemmeno i genitori (anche se le opinioni potrebbero essere diverse) riescono ad avere il ruolo autorevole che in passato ricevevano in automatico per il fatto di aver generato figli e figlie.
    Potremmo quasi dire che siamo società, scuola e famiglia in cerca d'Autore.
    Ma sarebbe un errore. Abbiamo (per tanti motivi) laboriosamente eliminato l'Autore e, giusto o sbagliato che fosse, il ritorno al passato non è quasi mai un recupero virtuoso.
    Chi non sa trovare nuove strade, infatti, non torna indietro. Si ferma disorientato.
    Forse è proprio questo che sta accadendo da qualche anno.
    Forse il disorientamento c'è e non manca di far sentire i suoi effetti.

    Potremmo ipotizzare che si tratta del prezzo della libertà.
    Mi auguro che sia così e non si tratti di un disegno diverso ossia di un progetto di disgregazione.
    Perché se è vero che c'è disorientamento è anche vero che non solo si diffonde la sfiducia nel vivere sociale, ma mancano i luoghi deputati al confronto delle idee, alla dialettica, al confronto. E dunque come ricostruire da soli e senza mezzi?

    Paradossalmente abbiamo per le mani il più potente mezzo di comunicazione e dialogo mai posseduto dall’uomo: eppure spesso lo si usa per recitare un copione già scritto, per schierarci come allo stadio per una maglia che non è nostra fino in fondo, per applaudire o fischiare, come a uno spettacolo, in favore dei buoni o dei cattivi / antipatici o simpatici di turno.
    Tornando alla vecchia scuola... convengo con M.R. la scuola è invecchiata e non lo ammette.
    Non solo: a volte si scambia il rinnovamento per una pratica di restyling.
    Aggiunge M.R. "… la scuola fornisce una preparazione standard".
    Ebbene su questo io risponderei... "magari!"
    Di standard ci sono i libri di testo e i programmi ministeriali, ma tutti sappiamo come variano le cose da classe a classe, da docente a docente.
    Tutti sappiamo che gli stessi studi, anche a livello universitario, portano a esiti diversi.
    Tutti sappiamo che di Testa Pensate ce n’è una, e forse poche altre le assomigliano.
    Magari ci fosse uno standard purché concordato e convenuto da un lato con le istituzioni preposte e gli insegnanti e dall'altro con le famiglie e gli studenti e che tenesse conto della realtà del mondo del lavoro.
    Magari ci fosse, almeno, un accordo sul fatto che la scuola si dedichi allo sviluppo delle facoltà analitiche e critiche dei suoi studenti. E a quel punto le materie sarebbero solo lo strumento e il mezzo e non il fine dell’insegnamento.
    Purtroppo tutto ciò è affidato invece a singole realtà virtuose che non mancano, ma non sono abbastanza.
    L'eroismo (lasciatemelo chiamare così) di pochi insegnanti, la dedizione coraggiosa di alcune famiglie non riesce a cambiare o ad incidere a fondo sulla realtà.
    E i ragazzi?
    I ragazzi, lo sappiamo, già "sperimentano forme autonome di apprendimento" alcune virtuose e utili ma altre no. Allora chiediamoci sempre dov'è la regia di queste forme autonome di apprendimento.
    Le sollecitazioni quotidiane con le quali i nostri giovani vengono a contatto quando sono attirati ed indirizzati verso costumi, bisogni, interessi, consumi che disorientano gli educatori (ma non depistano loro, i ragazzi) hanno sempre qualche pifferaio di Hamelin che attira e affascina conducendoli dietro di sé.
    E' importante, mi permetto di insistere, non lasciar soli i conducenti.

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  2. "Chi accede all’università lo fa portandosi dietro un bagaglio assolutamente inutile "non credo sia equilibrata questa considerazione : il contenuto del bag possiamo ritenerlo 'oggi' inutile , ma il peso comunque del portato per il tempo trascorso non è affatto inutile ... ha partecipato a formare i muscoli!! mi è stato detto da mio padre che" nessun lavoro è mai inutile" ... oggi che sono meno giovane comprendo l'importanza di quel messaggio!! grazie per l'ospitalità e comunque è un fatto positivo si parli di questa attualità sperando che non siano solo soggetti di mezza eta a discuterne ma soprattutto gggggiovaniiii!!!

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Solo poche righe (ha ragione barbax lasciamo parlare i ggggiovani :-))!) per dire che darebbe molto importante che l'"utilità" (se c'è)fosse percepita dai ragazzi.
    E' vero, alle generazioni precedenti a questa spesso bastavano le esortazioni-imposizioni dei genitori per piegarci alla convinzione dell'utilità di ciò che si studia e si fa a scuola; ma oggi che gli input e le suggestioni piovono inarrestabili e bombardano sa dovunque sui ragazzi è molto difficile persuaderli a forza di citazioni.

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  5. @Barbax
    Benvenuto!
    Credo che il bagaglio inutile sia, come dici tu, il contenuto.
    In quanto alla scuola che contribuisce a formare i "muscoli", bisogna che il tempo faccia la sua parte. I ragazzi scopriranno gli effetti positivi o negativi della pratica ginnica solo quando apriranno la loro valigia. E perchè ciò avvenga, è necessario del tempo, di tutto il tempo che è servito anche a noi adulti per prendere coscienza della qualità e della quantità del nostro bagaglio.
    "Nessun lavoro è mai inutile" è un'affermazione che mi sento di condividere. Mi permetto di aggiungere che il lavoro non è mai inutile se ad esso viene attribuito un senso. Nella società patriarcale era il padre, come tu dici, ad indicare il senso del lavoro, le tecniche e le strategie per la migliore riuscita nella vita. Con il dissolvimento di questo tipo di società, è venuta meno proprio la figura del padre come guida e mentore.
    Ciò che per noi è scontato, non lo è per i ragazzi. Ecco perché c'è bisogno che le generazioni tornino a parlarsi e a confrontarsi. Fare autobiografia è quanto mai necessario alla socializzazione delle esperienze.
    I miei alunni, che appartengono alla fascia che va dagli 11 ai 13 anni, desiderano parlare e confrontarsi con gli adulti e i loro genitori sono degli splendidi collaboratori in questo senso.
    Solo i ragazzi possono davvero parlare di come sentono i ragazzi...
    Solo gli adulti possono davvero parlare di come sentono gli adulti...
    Bisogna ricominciare a parlare. Noi ci stiamo provando...

    Grazie ancora per il tuo contributo!

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