sabato 26 gennaio 2013


Personalmente non riesco a trovare in me parole; associo il giorno della memoria all'inverno della pietà umana: l’immagine e il freddo  dell’inverno mi fanno pensare con terrore alle madri deportate coi bimbi ancora attaccati al seno, o ancora nella pancia, non nati. So che il dolore non fa distinzioni, ma una madre che subisce la violenza che colpisce i suoi nati mi sembra ci parli dentro, e che non si possa ignorare il suo urlo.
E ogni volta mi viene in mente l’inizio del libro di Levi, Se questo è un uomo, dove racconta la partenza del lungo viaggio in treno; quel fumo mi fa pensare subito al viaggio verso il camino della morte, i neonati schiacciati tra le altre creature, e quella bambina piccola, per la quale l’umanità del macchinista spilla dalla locomotiva un po’ d’acqua calda perché possa, dopo tante ore di viaggio, essere lavata; forse l’ultimo atto di tenerezza, dal mondo, per lei.
I simboli sono importanti.
No, non riesco a trovare nulla di abbastanza giusto da dire per quello che è successo mentre non solo la ragione dormiva, ma soprattutto il cuore dell’uomo.
Ne scrivo però dire e per chiedere che i giovani sappiano, conoscano, siano educati a vivere da uomini e donne, non da belve, e perché la storia continui a dire la verità.