Personalmente
non riesco a trovare in me parole; associo il giorno della memoria all'inverno
della pietà umana: l’immagine e il freddo
dell’inverno mi fanno pensare con terrore alle madri deportate coi bimbi
ancora attaccati al seno, o ancora nella pancia, non nati. So che il dolore non
fa distinzioni, ma una madre che subisce la violenza che colpisce i suoi nati
mi sembra ci parli dentro, e che non si possa ignorare il suo urlo.
E
ogni volta mi viene in mente l’inizio del libro di Levi, Se questo è un uomo,
dove racconta la partenza del lungo viaggio in treno; quel fumo mi fa pensare
subito al viaggio verso il camino della morte, i neonati schiacciati tra le
altre creature, e quella bambina piccola, per la quale l’umanità del
macchinista spilla dalla locomotiva un po’ d’acqua calda perché possa, dopo
tante ore di viaggio, essere lavata; forse l’ultimo atto di tenerezza, dal
mondo, per lei.
I
simboli sono importanti.
No,
non riesco a trovare nulla di abbastanza giusto da dire per quello che è
successo mentre non solo la ragione dormiva, ma soprattutto il cuore dell’uomo.
Ne
scrivo però dire e per chiedere che i giovani sappiano, conoscano, siano
educati a vivere da uomini e donne, non da belve, e perché la storia continui a
dire la verità.