Perché difendo la vita?
Si attraversano fasi della vita, o anche solo attimi, in cui ci si rende conto che la nostra presunzione di conoscenza, la nostra propensione a sentenziare sono davvero fuori luogo e che sarebbe importante risalire all’essenziale, a ciò che è davvero indispensabile, a quello che conta e che ci accomuna.
A me è recentemente accaduto di cogliere queste sensazioni due volte: la prima è durata un attimo; la seconda è durata molto perché ha riguardato una lunga fase della vita, e non solo della mia.
In un attimo ho assistito ad una scena: che mi ha violentemente colpito: una giovane mamma, accompagnata da tre bambini, si trovava in fila alla cassa di un supermercato. Tre bambini: due maschi uno piccolo infilato nel carrello della spesa, uno di 8-9 anni e una bambina che avrà avuto cinque-sei anni: bellissima, bionda e con i capelli raccolti in una lunga coda di cavallo. La mia attenzione di un attimo si è fermata sul gesto della mamma che, innervosita da qualcosa che la bimba aveva fatto, l’ha strattonata brutalmente afferrandola per la coda di cavallo. La testa della bambina si è piegata violentemente all’indietro, gli occhi si sono riempiti di lacrime ma la bimba non ha gridato né pianto, né ha reagito. Ha chinato la testa. Contemporaneamente il ragazzino grande, indisturbato, simulava di prendere a cazzotti il piccolino nel carrello, e qualche botta arrivava, ma anche il piccolino rimaneva muto, immobile e chinava la testa senza reagire. Mi sono sentita male; e, come se una lastra di pietra mi avesse colpito improvvisamente nel cuore, non sono riuscita nemmeno, per molti giorni, a raccontare quello che avevo visto. La “mamma” subito dopo la violenza inflitta alla piccola si è messa a cercare solidarietà (e non le è mancata) da una vecchia signora in fila accanto a lei lamentando : “non hai un momento di pace, tutto il giorno è così”; e la vecchia, perdonatemi, ma non trovo parole più gentili, odiosa, ha rincalzato: “Solo chi non lo prova non lo capisce”.
Si attraversano fasi della vita, o anche solo attimi, in cui ci si rende conto che la nostra presunzione di conoscenza, la nostra propensione a sentenziare sono davvero fuori luogo e che sarebbe importante risalire all’essenziale, a ciò che è davvero indispensabile, a quello che conta e che ci accomuna.
A me è recentemente accaduto di cogliere queste sensazioni due volte: la prima è durata un attimo; la seconda è durata molto perché ha riguardato una lunga fase della vita, e non solo della mia.
In un attimo ho assistito ad una scena: che mi ha violentemente colpito: una giovane mamma, accompagnata da tre bambini, si trovava in fila alla cassa di un supermercato. Tre bambini: due maschi uno piccolo infilato nel carrello della spesa, uno di 8-9 anni e una bambina che avrà avuto cinque-sei anni: bellissima, bionda e con i capelli raccolti in una lunga coda di cavallo. La mia attenzione di un attimo si è fermata sul gesto della mamma che, innervosita da qualcosa che la bimba aveva fatto, l’ha strattonata brutalmente afferrandola per la coda di cavallo. La testa della bambina si è piegata violentemente all’indietro, gli occhi si sono riempiti di lacrime ma la bimba non ha gridato né pianto, né ha reagito. Ha chinato la testa. Contemporaneamente il ragazzino grande, indisturbato, simulava di prendere a cazzotti il piccolino nel carrello, e qualche botta arrivava, ma anche il piccolino rimaneva muto, immobile e chinava la testa senza reagire. Mi sono sentita male; e, come se una lastra di pietra mi avesse colpito improvvisamente nel cuore, non sono riuscita nemmeno, per molti giorni, a raccontare quello che avevo visto. La “mamma” subito dopo la violenza inflitta alla piccola si è messa a cercare solidarietà (e non le è mancata) da una vecchia signora in fila accanto a lei lamentando : “non hai un momento di pace, tutto il giorno è così”; e la vecchia, perdonatemi, ma non trovo parole più gentili, odiosa, ha rincalzato: “Solo chi non lo prova non lo capisce”.
Io invece penso di aver capito: entrambe odiavano la vita.
Proprio qualche giorno dopo questo episodio è accaduto il secondo evento che mi ha messo do fronte a quello che siamo o potremmo essere: mio padre, molto anziano e sofferente da anni, ma dalla famiglia amato e seguito, è stato accompagnato al pronto soccorso per un malore che, anche al medico curante, era apparso subito gravissimo. Al pronto soccorso: ore di attesa, esami sommari (il cui esito risulta dal referto anche contraddittorio) e l’intimazione di portarlo a casa: “Lei si vuole liberare di suo padre” è stata l’accusa del medico a chi si era completamente dedicato per anni e anni alla cura dei genitori. Mio padre, sbattuto a forza in ambulanza, è tornato a casa in gravi condizioni, respirando a fatica, impossibilitato a qualsiasi movimento; ma chiudo qui la descrizione penosa. Dopo pochissimi giorni, ricoverato nuovamente d’urgenza, è morto. No, non ci volevamo liberare di lui e ci manca anche se nemmeno speravamo che potesse vivere a lungo; ma che gli fosse risparmiata sofferenza e fosse assistito adeguatamente sì.
Ecco perché difendo la vita. La vita dei piccoli e quella degli anziani è simile a quella delle persone, per vario motivo, inabili o impediti a prendersi cura consapevole di se stessi. Ma quella vita è pur sempre un dono, e non può essere delegata alla valutazione della bilancia delle opportunità, delle utilità, degli interessi personali e, diciamolo pure, dell’arbitrio (ragionato o non, equilibrato o isterico, razionale o pregiudiziale) di nessuno.
La vita appartiene alla persona. Quella particolare persona (vecchia o piccola, sana o non in salute che sia) può darci gioia o preoccupazioni, ma non è cosa nostra né cosa di un medico di guardia o di una vecchia signora in fila al supermercato o di una mamma instabile e nervosa.
Difendo quella vita. La difendo rivendicandone il valore intrinseco perché in vario modo è minacciata, è fragile, è incompresa; perché ci rappresenta tutti, perché è un diritto.
La difendo perché se noi non rispettiamo una vita (di un bimbo, di una persona fragile o debole, di un vecchio o di chiunque) spezziamo qualcosa di importante che tutti ci lega e manchiamo di rispetto a tutta la vita, che ci è stata gratuitamente donata e di cui non possiamo pensare di fare quello che ci pare, specialmente quando non è la “nostra”.
Proprio qualche giorno dopo questo episodio è accaduto il secondo evento che mi ha messo do fronte a quello che siamo o potremmo essere: mio padre, molto anziano e sofferente da anni, ma dalla famiglia amato e seguito, è stato accompagnato al pronto soccorso per un malore che, anche al medico curante, era apparso subito gravissimo. Al pronto soccorso: ore di attesa, esami sommari (il cui esito risulta dal referto anche contraddittorio) e l’intimazione di portarlo a casa: “Lei si vuole liberare di suo padre” è stata l’accusa del medico a chi si era completamente dedicato per anni e anni alla cura dei genitori. Mio padre, sbattuto a forza in ambulanza, è tornato a casa in gravi condizioni, respirando a fatica, impossibilitato a qualsiasi movimento; ma chiudo qui la descrizione penosa. Dopo pochissimi giorni, ricoverato nuovamente d’urgenza, è morto. No, non ci volevamo liberare di lui e ci manca anche se nemmeno speravamo che potesse vivere a lungo; ma che gli fosse risparmiata sofferenza e fosse assistito adeguatamente sì.
Ecco perché difendo la vita. La vita dei piccoli e quella degli anziani è simile a quella delle persone, per vario motivo, inabili o impediti a prendersi cura consapevole di se stessi. Ma quella vita è pur sempre un dono, e non può essere delegata alla valutazione della bilancia delle opportunità, delle utilità, degli interessi personali e, diciamolo pure, dell’arbitrio (ragionato o non, equilibrato o isterico, razionale o pregiudiziale) di nessuno.
La vita appartiene alla persona. Quella particolare persona (vecchia o piccola, sana o non in salute che sia) può darci gioia o preoccupazioni, ma non è cosa nostra né cosa di un medico di guardia o di una vecchia signora in fila al supermercato o di una mamma instabile e nervosa.
Difendo quella vita. La difendo rivendicandone il valore intrinseco perché in vario modo è minacciata, è fragile, è incompresa; perché ci rappresenta tutti, perché è un diritto.
La difendo perché se noi non rispettiamo una vita (di un bimbo, di una persona fragile o debole, di un vecchio o di chiunque) spezziamo qualcosa di importante che tutti ci lega e manchiamo di rispetto a tutta la vita, che ci è stata gratuitamente donata e di cui non possiamo pensare di fare quello che ci pare, specialmente quando non è la “nostra”.