martedì 28 dicembre 2010

PADRE E FIGLIA: SCRITTURA A QUATTRO MANI

WU MING

Scuola e Famiglia si parlano. Bella novità, lo hanno sempre fatto!
Ma consideriamo per un attimo i luoghi e i tempi di questa dialettica. Un calendario prestabilito scandisce le date degli incontri mattutini e pomeridiani tra Scuola e Famiglia. Due treni che corrono, l’uno verso l’altro, su binari paralleli, due treni che ogni tanto si incrociano nella stessa stazione, due treni che ospitano sempre lo stesso soggetto, l’alunno, che, impossibilitato a dividersi, scende e sale in continuazione per andare e tornare.
Allora perché non pensare ad un unico treno composto da carrozze miste?

Il documento che segue è un viaggio felice in un treno composto da carrozze miste in cui Scuola e Famiglia hanno iniziato un comune percorso di riflessione.

Grazie agli autori del post, padre e figlia, che hanno saputo parlare con estrema sensibilità dell’essere uguali e dell’essere diversi.

PERCHE’ TANTE VOLTE LE DIVERSITA’ CI DEVONO ATTRARRE
Le differenze tra i popoli, sono segnate da origini, storia, usi e abitudini, credenze e costumi ma se noi ci chiudiamo nel nostro piccolo cortile, nel nostro cieco provincialismo perché pensiamo di essere i migliori, non solo non cresciamo perché il confronto è crescita, ma ergiamo un muro invalicabile tra la nostra pochezza e l’intelligenza che è nelle cose che ci circondano e che noi non riusciamo a percepire.
In realtà ciò che è diverso da noi, dal colore della nostra pelle da come ci vestiamo o parliamo, ci deve attrarre perché la diversità deve farci avvicinare per conoscere e per farci capire che non siamo perfetti e non esistiamo solo noi al centro del mondo.
Noi quando diciamo “io sono uguale a te, oppure guarda siamo uguali, andiamo a scuola insieme o in palestra o mangiamo le stesse cose o facciamo il tifo per la stessa squadra” crediamo che la somiglianza nell’aspetto estetico o nel modo di comportarci ci unisce e ci identifica, ma sbagliamo perché quello che alla fine ci contraddistingue veramente è il modo che ognuno di noi ha di pensare o di emozionarsi o di ridere o piangere per le piccole cose.
Essere uguali quindi per noi non significa molto, viceversa è molto importante essere unici, pensare con la propria testa ed essere attratti dalle diversità degli altri attorno a noi per confrontarci continuamente e per poterci migliorare imparando da loro.
Scrittura a quattro mani di Eli the Best 99 –figlia e Mega Toni - padre

giovedì 23 dicembre 2010

TEMPO DI LAVORO E TEMPO DI LIBERTA'


I ragazzi, alla luce delle testimonianze dei genitori e degli adulti, si interrogano su cosa si può fare per avere più tempo libero e sfuggire alla routine del lavoro che in alcuni casi rende gli uomini simili a macchine senza cuore e senza cervello.


Nel post “Genitori a scuola n.8”, abbiamo scritto che “tutti i lavori sono diversi ma diventano uguali quando vengono considerati come una cosa scontata. Tutti lavorano: regola di vita”. Con questa affermazione intendevamo dire che da sempre l’uomo è impegnato in attività produttive diverse che hanno in comune la routine quotidiana.
In “Granelli vs Automatici meccanismi”, M. Peterlin afferma che vi è “ Un meccanismo compulsivo: sveglia –colazione - corsa a scuola (dal nido in poi) - pranzo in qualche modo – pomeriggi organizzati – palestre e sport per ogni età – cure del corpo (da quelle mediche a quelle estetiche) – supermarket – recupero figli – cena – crollo tv. E l’indomani si ricomincia.” Anche il lavoro non sfugge a questo meccanismo automatico perché tutti, o quasi tutti, sono talmente presi dal lavoro da esserne diventati completamente dipendenti.
Di conseguenza non c’è mai tempo a disposizione da dedicare ai rapporti umani e al tempo libero. Basti pensare che, in questo mondo concentrato sul lavoro, il maggiore motivo di tristezza dei bambini dipende dalla mancata presenza dei genitori che spesso vengono sostituiti da babysitter o lontani parenti. In questo modo i bambini non hanno un punto di riferimento fisso da imitare e si sentono disorientati.
Perché si lavora così tanto? Perché, nonostante il progresso, l’uomo sembra essere ancora schiavo del lavoro? Nel film “Tempi moderni” Charlie Chaplin, operaio presso una catena di montaggio, viene sottoposto ad un esperimento. Per non interrompere il ciclo produttivo, una macchina lo imbocca e la cosa, naturalmente, finisce male. In quel caso l’uomo era totalmente schiavo della macchina e della catena di montaggio. Nel post intitolato “La tecnologia a servizio dell’uomo”, il dr. House afferma che “bisogna aiutare i ragazzi, ossia i professionisti del domani, a rendere la tecnologia veramente a servizio dell’uomo”.
Se la tecnologia sarà veramente a servizio dell’uomo, se l’uomo cioè saprà utilizzarla meglio, sarà possibile avere più tempo libero da dedicare ai rapporti umani? Noi speriamo di sì.

Tutta la III E

lunedì 20 dicembre 2010

PINOCCHIO – BORN TO RUN? Gambe per correre (e una testa per pensare)

Geppetto insegue Pinocchio - nato per correre?

Osserva Stefano Bartezzaghi: “Perché i bambini corrono? All'improvviso, magari do­po aver lamentato di dover camminare, scattano in una cor­sa senza pensieri. Camminare stanca,correre no. Giocano a rincorrersi, a prendersi, a chi arriva primo. Corrono an­che da soli, senza gareggiare: non sempre per fare prima, spesso per fuga, o anche per gioia, esuberanza, imbarazzo, scarico di energia. Si corre come si parla, si ride, o altro, senza progetto: si corre per una decisione estemporanea.

L'unico grande gioco di Pinocchio è la corsa. Esce dal­la casa di Geppetto, per andare a scuola e cammina. Ma quando decide di deviare per inseguire il suono di pifferi che lo porterà da Mangiafoco non cammina più:

“Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre a gambe.”

Corre di capitolo in capitolo, per ore, come lepre, bàr­bero (ovvero cavallo da corsa), capretto, leprottino, cane da caccia, can levriero, capriolo, palla di fucile.
Minuto e solido, corre imbattibilmente:
Pinocchio era sempre avanti a tutti: pareva che avesse le ali ai piedi.
Gioca a correre e si gioca di chi corre meno di lui, cioè tutti:
“Di tanto in tanto, voltandosi indietro, canzonava i suoi compagni rimasti a una bella distanza, e nel vederli ansanti, trafelati, polverosi e con tanto di lingua fuori, se la rideva pro­prio di cuore.”  (fin qui Bartezzaghi)

appena finito... fugge!

Ma davvero, noi ci chiediamo, Pinocchio corre per giocare? E allora gioca e corre come tutti i bambini nati in questo mondo?
In realtà, come sappiamo, per Pinocchio non si potrebbe parlare di nascita in senso biologico o umano. Pinocchio esiste perché un artigiano l’ha costruito ricavandone tutti i pezzi, uno a uno, intagliando un pezzo di legno e per fabbricare un burattino.

Geppetto, dal canto suo, non l’ha ancora finito di mettere insieme che scopre in lui un carattere inatteso: un burattino che non obbedisce è diverso dagli altri.

“Appena finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su e cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano a un burattino. […] e gli disse:
-Birba d’un figliolo, non sei ancora finito di fare e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male ragazzo mio, male!
E si asciugò una lacrima.”

Geppetto continua tuttavia il suo lavoro, finisce di costruire le gambe e i piedi ( e Pinocchio gli tira subito un calcio “su la punta del naso”) poi lo posa a terra e …
“Quando le gambe gli si furono sgranchite Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare.”
Tante sono le domande e le risposte possibili su questo libro.
Tuttavia ce n’è almeno una ineludibile proprio perché la vita di Pinocchio inizia con il correre e lo scappare; cosa significa per lui questa corsa? 
Che cosa ha pensato, secondo Collodi, il Pinocchio appena nato?
E perché il lettore non può fare a meno di seguitare (e dunque di seguirlo …)  leggendone le Avventure?




domenica 19 dicembre 2010

PROFILO DELLA NET-GENERATION



Un profilo dei nativi digitali che sintetizza, in ottica didattica, i tratti principali di questa nuova generazione sulla base della produzione scientifica e divulgativa dei maggiori esperti del settore come D. De kerckhove, M. Prensky, M. Wesh e D. Rushkoff.

mercoledì 15 dicembre 2010

LA TECNOLOGIA A SERVIZIO DELL'UOMO

Prosegue il dialogo fra scuola e famiglia.
Di seguito l'importante contributo di un genitore che ringraziamo, anche a nome dei ragazzi, per la collaborazione offerta.

Durante la mia esperienza di vita lavorativa ho visto notevoli cambiamenti nello sviluppo tecnologico, soprattutto nell’ambito lavorativo dove lavoro quotidianamente, ossia nel campo della medicina.

Le applicazioni tecnologiche nell’ambito medico sono innumerevoli, perché la ricerca in tale campo è molto attiva e riesce a scoprire tecniche di indagine medica a ritmo molto veloce. Gli utilizzatori di tali tecniche di indagine, ossia i medici, d’altro canto, non sempre sono in grado di seguire le dinamiche delle scoperte scientifiche e, vuoi per la scarsa volontà di tornare sui libri a studiare, vuoi perché sono saldamente attaccati a quello che hanno studiato all’università 20 anni prima, non riescono a trasferire appieno i benefici di tali scoperte a chi ne deve usufruire, ossia i pazienti.

Un altro aspetto da considerare è quello relativo al grado di preparazione scientifica che le scuole italiane offrono ai futuri professionisti; infatti è ben noto che le discipline matematiche e quelle di lingua straniera, ad esempio l’inglese, sono molto carenti nei piani di studio delle scuole medie inferiori e superiori. Ciò è confermato dai vari sondaggi e studi sulla preparazione degli alunni delle scuole italiane. Qualche docente parla di scuola ancora “troppo gentiliana”; in effetti i nostri governanti, che avrebbero dovuto essere molto sensibili alle problematiche dei loro (nostri) figli, invece di discorrere le questioni interne ai “palazzi romani”, dovrebbero piuttosto cercare di risolvere i problemi della scuola e aiutare i ragazzi, ossia i professionisti del domani, a rendere la tecnologia veramente al servizio dell’uomo.

Ma finalmente qualcosa sta cambiando; per un processo, credo, di autoconsapevolezza, i ragazzi che oggi frequentano l’università sono più attenti alla tecnologia, intesa anche come mezzo di aiuto all’apprendimento, e sono più attenti a quello che studiano. Ritengo che sarebbe opportuno creare degli “shunts” tra le varie discipline, sin dalle scuole medie inferiori: questo permetterebbe ai discenti di avere una piena consapevolezza del fatto che si debbano studiare approfonditamente anche le discipline scientifiche, pur avendo una piena padronanza della lingua italiana e delle materie umanistiche (viribus unitis).

Sarebbe auspicabile, infine, un adeguato ricambio generazionale nelle attività lavorative, soprattutto per le professioni che incidono direttamente sull’individuo.

(Dott. House)

domenica 12 dicembre 2010

PINOCCHIO: un pezzo di legno con una testa pensante e un cuore che...



La mia generazione ha avuto in regalo Pinocchio perché fosse una lettura che, divertendo, trasmettesse qualche buon consiglio: un ragazzo che mente e disobbedisce ai genitori si mette nei guai e se poi dà anche retta ai cattivi compagni, ossia a Lucignolo, subisce addirittura una umiliante metamorfosi: gli spuntano le orecchie d’asino.
Eppure è stato inevitabile, per me, tifare Pinocchio: anche quando faceva disperare il suo papà Geppetto o non ascoltava i consigli della Fata dai Capelli Turchini.
Se poi spiaccicava contro il muro il Grillo parlante… beh me ne facevo una ragione.
Sappiamo che la storia finisce, attraverso un susseguirsi di straordinarie e incredibili avventure, nel migliore dei modi. Ma perché Collodi ci propone proprio quello come miglior finale possibile?
Pinocchio è solo un pezzo di legno che diventa, per mano di Geppetto, un burattino.
Inizia subito a farne di tutti i colori, quello che lo spinge verso la ribellione ci appare come il desiderio di verificare di persona ogni situazione che affronta.

Evidentemente non gli bastano i buoni consigli, che forse sarebbero stati sufficienti a un bambino normale, perché lui normale non è.
Se fosse normale rimarrebbe un pezzo di legno ben scolpito e colorato. O al massimo sarebbe ben felice di conformarsi alle situazioni.

Invece c’è qualcosa dentro di lui e quel qualcosa non sono solo disubbidienza e bugie, scappatelle e spericolatezza. Quel qualcosa è la sua personalità e la sua unicità.
La testa e il cuore di Pinocchio sono solo apparentemente di legno: in realtà sono una testa pensante e un cuore che... sa emozionarsi ed amare, temere e aver coraggio. 
Ma questo lo deve scoprire da solo e cercando la sua strada.

Verrebbe quasi da dire che per trovare la nostra strada si deve disobbedire?
Beh… non è proprio così: non è necessario disobbedire, ma certamente è utile mettersi alla prova e rinunciare a quegli schemi che ci vengono imposti dai modelli di costume e sociali dominanti.
Pinocchio, come s’è detto, non è un bambino normale, altrimenti avrebbe forse una famiglia e una scuola normali.
Pinocchio è altro: è quel tanto di più che dobbiamo scoprire dentro di noi per essere ciò che davvero siamo: unici.
Da un lato, infatti, siamo tutti uguali, dall’altro tutti diversi.
Se la nostra personalità matura e trova il suo modo unico e irripetibile di esistere ci arricchiamo vicendevolmente e possiamo abbandonare l’apparenza “legnosa” (per noi e gli altri) e diventare … niente di meno, niente di più e niente altro che noi stessi.
Per questo, anche se forse non lo avevo subito capito, non potevo non amare Pinocchio.



sabato 11 dicembre 2010

FACCIAMO IL PUNTO

Qualche piccola notizia su questo blog scolastico.

Questo è un blog nato per dare voce a chi non ha voce, all’anello mancante “che congiunge con parola pensante” (M. Peterlin).

E’ un luogo ove si sono incontrate e continueranno ad incontrarsi culture diverse, un luogo ove adulti e ragazzi procedono alla comune costruzione di significati, un luogo ove l’ uno riconosce ed accoglie il vissuto emozionale ed esperenziale dell’altro, un luogo ove l’educazione non è concepita solo come semplice trasmissione del conoscere ma anche e soprattutto come ascolto reciproco tra soggetti narranti.

Questo è un blog in cui gli adulti (insegnanti e genitori) si affiancano ai ragazzi (di scuola media) per tentare di problematizzare la conoscenza e per capire come nascono le idee e a che cosa possono condurre.

Grazie a tutti quelli che ci leggono!

giovedì 9 dicembre 2010

VERSO L'ALESSITIMIA?

Quando si è innamorati spesso ci si dimentica del mondo intero, persino di avere “una testa pensante”. Con il termine AMORE, noi non intendiamo solo il rapporto con l'altro sesso ma anche una relazione profonda con tutta l'umanità.
In questa società superficiale, l'amore viene considerato quasi una fase di passaggio. Siamo innamorati dell'idea dell'amore, ma non sappiamo veramente cosa significhi questa parola così estranea al mondo dei giovani. Spesso non si riconoscono né i sentimenti né le emozioni né le sensazioni che si provano stando in compagnia.
La verità è che siamo troppo narcisisti. Il nostro amore smisurato per noi stessi è troppo grande per lasciare posto a quello verso gli altri.
Il nostro cuore è sempre troppo piccolo per dare spazio a qualcuno che non sia il nostro IO.
L'amore è trovare un completamento, trovare qualcuno che ci faccia sentire interi, perfetti con noi stessi. Ma se noi ci sentiamo già perfetti, se noi siamo pronti ad amare solo noi stessi ...abbiamo davvero bisogno di un completamento?
Oggi le relazioni tra i ragazzi, hanno una durata limitata...ci siamo mai chiesti perché?
Forse perché amare moltissimo se stessi e anche un altro è troppo faticoso?
(Clarissa Frey,Tenera,Bree Tanner)

Narrazione per immagini e suono - ALBA 8 DICEMBRE dicembre 2010.wmv

L'alba in una narrazione didattica - Linguaggio delle immagini e del suono

domenica 5 dicembre 2010

venerdì 3 dicembre 2010

OCCHIO ALLA FLESSICUREZZA

Noi ragazzi dovremo fare i conti con gli effetti della globalizzazione e i vistosi squilibri esistenti tra domanda e offerta di lavoro. Dovremo abituarci al continuo aggiornamento delle nostre competenze e ad una crescente flessibilità. Come sarà possibile conciliare l'esigenza di più posti di lavoro con migliori garanzie occupazionali che allontanino il rischio della precarietà?
Cercando delle risposte a questa domanda, ci siamo imbattuti sulla "flessicurezza" che è un modello sociale che consente di combinare la flessibilità e la sicurezza dell'occupazione. La flessicurezza dovrebbe garantire la flessibilità delle modalità contrattuali e la sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro o di trovarne subito un altro .
All' idea di flessicurezza sono legati quattro aspetti importanti:
1)l'elasticità delle disposizioni contrattuali;
2) la formazione permanente
3) le politiche attive ed efficaci riguardanti il mercato del lavoro
4) le indennità di disoccupazione adeguate al fine di facilitare il superamento dei periodi di transizione;
Teniamo d' occhio la flessicurezza mentre ci attrezziamo per inventarci nuovi lavori.
(pesce palla e l'attaccante)

mercoledì 1 dicembre 2010

LE CARTE LE LEGGIAMO ANCHE NOI

L'articolo 1 della Costituzione italiana afferma che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Se questo è vero, e tutti sappiamo che è vero, perché vediamo in giro tante manifestazioni in cui giovani e meno giovani protestano per la mancanza di lavoro?
L'articolo 4 della Costituzione italiana riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. E allora, se il lavoro è un diritto per tutti, perché ci sono tanti disoccupati?
A questa osservazione se ne può aggiungere un'altra.
L 'articolo 2 della Ratifica ed esecuzione del trattato che istituisce la Comunità europea (14 ottobre 1957) e l'articolo 3 della Costituzione europea (29 ottobre 2004) dicono chiaramente che la Comunità ha il compito di promuovere uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e un'economia di mercato fortemente competitiva che miri ad una piena occupazione e al progresso sociale. Ma se anche questo è vero, e tutti sappiamo che è vero, perché il lavoro è sempre più precario e molti giovani sono costretti ad andare all'estero per trovare sbocchi occupazionali?
Abbiamo cercato le risposte e abbiamo capito che il processo di globalizzazione ha causato grossi squilibri e che la delocalizzazione ha contribuito ad aggravare il problema.
Inoltre, dalle testimonianze ricevute dai nostri genitori durante gli incontri sul lavoro, pare proprio che non sempre lo sviluppo delle attività economiche è stato armonioso, equilibrato e sostenibile, e che la piena occupazione e il progresso sociale sono obiettivi ancora da conseguire. E la crisi economica certo non aiuta.

In qualità di alunni possiamo solo dire che anche noi abbiamo dei diritti e dei doveri.
Quando “andiamo fuori dal seminato”, quando non sappiamo cioè amministrare bene noi stessi causando problemi agli altri, veniamo subito individuati e sanzionati (vedi il Regolamento d'istituto presente in ogni scuola). Ci assumiamo le nostre responsabilità perché, ci dicono, assumersi le proprie responsabilità fa parte della civile convivenza e aiuta a diventare buoni cittadini. E noi alunni, per amore o per forza, ci responsabilizziamo... per diventare migliori.
Ma fra gli adulti come funziona il Regolamento d'Istituto?
(Clarissa Frey e il difensore)